Per anni le piccole e medie imprese hanno inseguito i social come unica strada per restare visibili. Campagne sponsorizzate a ritmo costante, rincorsa ai follower, dipendenza da algoritmi opachi. Una corsa spesso costosa e poco sostenibile, che in molti casi ha lasciato più dubbi che certezze sui ritorni effettivi degli investimenti. Anche sul fronte della sicurezza digitale come dimostrano i rischi legati a phishing e vishing, il controllo diretto sui canali diventa un vantaggio competitivo.
Oggi, in un contesto in cui i costi pubblicitari continuano a crescere e le piattaforme cambiano regole con frequenza crescente, le Pmi italiane stanno riscoprendo uno strumento che sembrava passato di moda: l’email marketing.
Si tratta di un canale diretto, che non dipende da logiche esterne, e che ha un pregio rarissimo: la lista dei contatti appartiene all’azienda. Nessun intermediario può limitarne l’uso o modificarne la portata. È un patrimonio che rimane nelle mani di chi lo costruisce, e che consente di instaurare un dialogo continuo con clienti e prospect. Non è solo una questione di controllo, ma anche di risultati. Secondo un’analisi di GetResponse, in Italia il tasso medio di apertura delle email raggiunge il 44,45%, mentre quello di clic si attesta al 2,87%. Dati che, messi a confronto con le performance organiche dei social, mostrano con evidenza quale sia oggi il canale più affidabile per stimolare interazioni reali.
“Strumento sottovalutato negli anni dell’hype social, si rivela ora essenziale per costruire un rapporto diretto e continuo con il cliente, svincolato da algoritmi e logiche a pagamento”, osserva Linda Romani, marketing manager Italia della società. E proprio il tema del “contatto diretto” sta diventando centrale: non basta “esserci” online, occorre garantire continuità e capacità di relazione. L’email, spesso sottovalutata, offre entrambe le cose.
L’email marketing diventa accessibile a tutti
Per molto tempo il pregiudizio ha frenato le Pmi: ‘fare email marketing è complicato, servono competenze specialistiche’. Un ostacolo che oggi non regge più. Non a caso molte imprese segnalano difficoltà a reperire personale qualificato, ma le piattaforme di nuova generazione hanno abbattuto la barriera tecnica. Bastano pochi clic per costruire una newsletter o impostare un flusso di messaggi automatici. Gli editor visuali funzionano con logiche intuitive: si trascina un blocco di testo, si inserisce un’immagine, si sceglie un modello predefinito. Non serve saper programmare, né avere un reparto IT.
L’automazione è la leva che sta cambiando il gioco. Una microimpresa può impostare un messaggio di benvenuto per i nuovi iscritti, un follow-up dopo l’acquisto, un promemoria legato a una promozione. Sono azioni semplici, ma capaci di rafforzare la relazione con il cliente e di trasformare un contatto occasionale in un interlocutore abituale. Il vantaggio non è solo operativo – si risparmia tempo – ma soprattutto strategico: la comunicazione diventa più coerente, tempestiva e personalizzata.
Un ulteriore passo avanti è offerto dall’intelligenza artificiale, ormai integrata in molte piattaforme. Gli algoritmi suggeriscono oggetti più efficaci, ottimizzano i tempi di invio, propongono contenuti in linea con le preferenze del destinatario. È la stessa tecnologia che apre dibattiti globali sulla sostituzione dei lavoratori più esposti, ma che in questo ambito si traduce in un supporto concreto alle imprese. Si tratta di strumenti che fino a pochi anni fa erano appannaggio delle grandi aziende, mentre oggi sono disponibili a costi scalabili anche per chi gestisce database ridotti. Non servono investimenti esorbitanti, ma la volontà di sfruttare tecnologie che democratizzano un canale spesso sottovalutato. Il risultato è un abbattimento drastico delle barriere d’ingresso.
Trasparenza e risultati misurabili
L’aspetto che distingue l’email marketing dagli altri strumenti digitali è la trasparenza dei dati. Ogni campagna produce indicatori chiari: aperture, clic, conversioni. Non ci sono metriche opache né indici di vanità. Questo permette anche a chi non ha esperienza con strumenti di analytics complessi di capire con immediatezza se una comunicazione sta funzionando.
Per una Pmi, che spesso lavora con margini ridotti e budget limitati, la misurabilità è un asset cruciale. Sapere quante persone hanno aperto una mail, quale link ha generato traffico e quante vendite sono arrivate da una campagna significa avere in mano uno strumento di ottimizzazione continuo. Un oggetto inefficace può essere cambiato, un contenuto che funziona può essere replicato, un flusso ben costruito può diventare modello stabile. Non servono grandi rivoluzioni, ma piccoli aggiustamenti progressivi che, nel tempo, portano a risultati concreti.
Il collegamento con e-commerce e sistemi di gestione della relazione con i clienti (Crm, Customer Relationship Management) aggiunge un ulteriore livello. Diventa possibile attribuire una vendita a uno specifico invio, misurare il ritorno di una campagna promozionale o calcolare il valore di un cliente nel tempo. Non si parla di like o visualizzazioni: si parla di fatturato. Ed è proprio questo il linguaggio che conta per le imprese.
La lista contatti non mente
I social hanno un ruolo imprescindibile: sono vetrine di visibilità e strumenti di ingaggio immediato. Servono per farsi scoprire, per raccontare il brand, per intercettare nuove audience. Ma hanno un limite strutturale: non appartengono alle aziende. La visibilità dipende da logiche di piattaforma che possono cambiare dall’oggi al domani, spesso con ricadute pesanti sui risultati. Per restare in gioco è quasi sempre necessario investire in pubblicità, con costi crescenti e ritorni non sempre garantiti.
I canali proprietari – mailing list, newsletter, Crm, flussi automatizzati – si muovono su un piano opposto. Qui il controllo è totale: i contatti restano di proprietà dell’impresa, la comunicazione non è filtrata da algoritmi, i costi sono prevedibili. È un modello che richiede tempo per costruire la base, ma che garantisce stabilità e margini migliori nel medio periodo.
“Quando parliamo di risultati, per una piccola impresa non conta solo quanto si incassa, ma anche quanto costa arrivarci. I social spesso richiedono investimenti pubblicitari continui per mantenere la visibilità e i risultati dipendono da regole che cambiano continuamente. Al contrario, l’email marketing permette di costruire una base clienti solida e indipendente e con il miglior rapporto tra costi e ricavi: per ogni euro investito, si possono ottenere anche 30 o 40 euro in vendite aggiuntive”, evidenzia Romani.
Per le Pmi italiane, spesso esposte a un contesto economico incerto, questa differenza è decisiva. Non si tratta di scegliere tra social ed email, ma di costruire un equilibrio in cui i primi catturano l’attenzione e i secondi consolidano la relazione. La vera sfida è trasformare un contatto fugace in una relazione duratura, che resista anche quando l’algoritmo cambia le regole del gioco.