Non ideologia, ma equilibrio. Non una tecnologia contro l’altra, ma la consapevolezza che la sostenibilità passa anche per l’efficienza, la competitività e la sicurezza energetica. È questa la chiave con cui il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha affrontato il tema della transizione durante l’appuntamento Adnkronos Q&A “Sostenibilità al bivio”, al Palazzo dell’Informazione di Roma.
“Il nostro è un Paese che è cresciuto producendo il meglio – ha spiegato – siamo il quarto esportatore mondiale perché abbiamo costruito un sistema produttivo che compete sulla qualità, non sul prezzo. Essere i migliori nella tecnologia significa mantenere livelli alti e quindi il benessere del Paese”.
Dietro il lessico pragmatico del ministro c’è una linea chiara: l’Italia vuole difendere la propria manifattura da un percorso europeo che, nel nome del Green Deal, rischia di appiattire la transizione su un’unica strada, quella dell’elettrificazione. “L’Unione Europea ha disegnato un percorso ambizioso, forse con meno realismo. Noi sosteniamo la neutralità tecnologica, perché la transizione non può essere solo un sogno, ma deve misurarsi con la realtà dei sistemi energetici e industriali nazionali”, ha ribadito Pichetto Fratin.
Nel dibattito sulla transizione, la “neutralità tecnologica” è diventata la parola d’ordine italiana a Bruxelles. Per Pichetto Fratin non è uno slogan, ma una condizione di sopravvivenza industriale. Significa aprire il campo alle diverse tecnologie in grado di ridurre le emissioni — biocarburanti, idrogeno, nucleare di nuova generazione, gas a basse emissioni, efficienza industriale — invece di imporre un’unica via.
“Abbiamo sostenuto la neutralità tecnologica rispetto alla battaglia che abbiamo portato avanti e stiamo portando avanti in Europa – ha ricordato – e su cui ho discusso anche con la ministra brasiliana Marina Silva, che guida il fronte dei biocarburanti”.
Un messaggio che non arriva in un vuoto politico. Dopo anni di obiettivi ambientali fissati “a monte”, l’Italia chiede che l’Unione tenga conto delle differenze territoriali, infrastrutturali e produttive. “L’idroelettrico, ad esempio, non è un problema nel Nord Europa, ma lo è in alcune regioni italiane dove mancano dighe e centrali. C’è una differenza tra sogno e realtà, e noi dobbiamo partire dalla realtà”.
Nel linguaggio del ministro, il termine “realismo” torna più volte: è la cifra con cui l’Italia intende negoziare a Bruxelles. Non per rallentare la decarbonizzazione, ma per evitare che l’Europa scarichi il costo della transizione su cittadini e imprese. Un approccio che trova eco anche nei dossier industriali aperti con Germania e Francia, dove la spinta verso un nuovo equilibrio tra clima e competitività sta diventando tema politico centrale.
Il decreto energia e il costo delle bollette
La neutralità tecnologica, però, non è solo una battaglia europea: è anche un principio operativo interno. Il ministro lo traduce nel decreto energia, atteso in Consiglio dei ministri. “Se va bene tra oggi e domani chiudiamo la questione sulle aree idonee e potrebbe andare in Cdm la prossima settimana; il decreto è praticamente completo”, ha dichiarato.
Il provvedimento tocca nodi concreti: dalla rete elettrica “intasata ma non occupata” — perché molte connessioni sono prenotate ma non operative — alla regolazione dei grandi consumatori di energia come i data center, che il Mase vuole inserire per la prima volta nel perimetro di pianificazione energetica.
“La nostra rete è virtualmente occupata – ha spiegato – e dobbiamo dare spazio a chi ha davvero energia da immettere”.
Un altro fronte riguarda i costi in bolletta. Il ministro ha annunciato una norma per eliminare il cosiddetto “sistema perverso di Passo Gries”, che pesa fino a 2-3 euro per megawattora sul gas importato e si ribalta, a cascata, sul termoelettrico e sull’elettricità. “Può sembrare poco – ha detto – ma vale una riduzione del 3% del prezzo attuale: è un primo passo”.
Più complessa la questione degli oneri di sistema. Oggi, su circa 70 miliardi di euro di energia elettrica pagati ogni anno in Italia, quasi 9 miliardi sono legati alle rinnovabili e al conto energia. Il ministro ha ricordato che negli oneri di sistema il conto energia pesa per 5–6 miliardi, in riduzione graduale fino al 2031. “Si tratta di spostare parte di questi oneri, ma dobbiamo farlo in modo compatibile con il bilancio dello Stato. La Germania ha potuto mettere 26 miliardi sul sistema, noi dobbiamo trovare soluzioni proporzionate”.
Il tema, per Pichetto Fratin, è sempre lo stesso: mantenere sostenibilità e competitività insieme, senza promettere ciò che i conti pubblici non permettono.
Nucleare, sicurezza e formazione
Se la transizione deve essere realistica, non può escludere il nucleare. È su questo punto che il ministro ha insistito con maggiore chiarezza, confermando che la legge delega sul nucleare è in dirittura d’arrivo:
“In questa legislatura dobbiamo dare il quadro giuridico. Pertanto, la legge delega, spero nel giro di tre, quattro, cinque mesi, e poi nei 12 mesi successivi le norme di attuazione, che devono vedere le procedure di permitting, la valutazione sulle tecnologie, l’agenzia di controllo, una grande formazione e istruzione”.
Non un ritorno al passato, ma un ingresso nel futuro dei reattori modulari di nuova generazione e delle tecnologie “advanced”, fino alla fusione, quando sarà disponibile. L’obiettivo è creare il contesto normativo e tecnico che permetta a chi verrà dopo di scegliere con consapevolezza.
Il ministro riconosce che la Francia gode di un vantaggio competitivo strutturale grazie al nucleare, che le consente di non pagare ETS sulla produzione elettrica. Sul termoelettrico italiano, invece, gli ETS valgono circa 12 euro per megawattora, che si riflettono in bolletta fino a 24 €/MWh: un’asimmetria che pesa sulle imprese energivore e sul costo finale per i cittadini.
C’è poi un nodo che non può più essere rinviato: il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. “È da risolvere in questa legislatura – ha detto Pichetto Fratin – la responsabilità la sento tutta e non ho intenzione di rinviare la questione”.
Cop30, mercati e clima
Parlando della prossima Cop30, il ministro ha riconosciuto le difficoltà di un contesto internazionale frammentato: “La Cop 30 purtroppo avrà tutta una serie di difficoltà, non neghiamole: il venire meno degli Stati Uniti con delle scelte di un grande Paese, la situazione ancora di guerre nel mondo devono portarci a fare una verifica rispetto agli obiettivi che ci eravamo dati”.
L’Italia, spiega, spingerà affinché l’Europa mantenga il suo ruolo di guida ma con maggiore coerenza interna. Gli Ndc europei – i contributi determinati a livello nazionale per la riduzione delle emissioni – saranno definiti dai leader Ue a fine ottobre e dai ministri dell’Ambiente a inizio novembre. “Dobbiamo mantenere l’obiettivo finale e trovare un punto di equilibrio tra i 200 Paesi del mondo”.
Il concetto di equilibrio, ancora una volta, ritorna. Per Pichetto Fratin, la sostenibilità non è solo una sfida ecologica, ma un test di maturità politica e industriale. L’Italia – dice – non deve “correre più degli altri” né restare indietro, ma consolidare un modello energetico misto: geotermico, idroelettrico, fotovoltaico, gas e nucleare. Un sistema integrato, non sostitutivo, che guardi al 2040 con realismo e con un’industria ancora in grado di produrre valore.
La transizione, per il ministro, non è una corsa ideologica ma una costruzione di equilibrio tra energia, territorio e lavoro: “Non possiamo tappezzare il più bel Paese del mondo di pale e fotovoltaico. Ci vuole razionalità, perché sostenibilità significa anche rispetto del paesaggio e della nostra identità”.