Immaginate un mondo dove le strade sono illuminate non da lampioni elettrici, ma da alberi che brillano e spazi pubblici ornamentati con piante fosforescenti. E bene, non è solo una fantasia, perché a renderlo reale ci sta pensando un gruppo di ricercatori in Cina.
Il team con a capo Shuting Liu, ricercatore della South China Agricultural University ha fatto un passo avanti significativo in questa direzione, creando quelle che definiscono le “prime piante luminescenti multicolori e più luminose di sempre”, alimentate dalla luce solare e ricaricabili. Questo studio, pubblicato sulla rivista Matter, apre nuove prospettive per sistemi di illuminazione sostenibili e a basso impatto ambientale.
Oltre l’ingegneria genetica: il segreto è nelle nanoparticelle
Fino ad ora, il sogno delle piante luminose era stato perseguito principalmente attraverso l’ingegneria genetica, un metodo che comporta l’inserimento di geni bioluminescenti nel Dna delle piante. La sua forza è nella capacità di produrre piante capaci di emettere una luce verdastra, disponibili anche commercialmente negli Stati Uniti, ma questa tecnica presenta limitazioni significative. Le piante geneticamente modificate spesso soffrono di bassa efficienza di luminescenza, colore limitato al verde, cicli di coltivazione lunghi, costi elevati e la dipendenza dall’energia fotosintetica per produrre luce.
Il nuovo approccio dei ricercatori cinesi segna una rottura con questa tradizione. Invece di modificare i geni, hanno iniettato le foglie di una pianta grassa, la Echeveria “Mebina”, con nanoparticelle di “alluminato di stronzio” rivestite di fosfato: questo materiale, comunemente usato nei giocattoli che si illuminano al buio, assorbe la luce e la rilascia gradualmente nel tempo.
La scelta della Echeveria “Mebina” non è casuale. Le piante grasse hanno una microstruttura compatta e abbondanti spazi intercellulari che facilitano il trasporto efficiente di particelle più grandi, anche di dimensioni micrometriche, le quali offrono una luminescenza superiore. A differenza delle foglie delle piante non succulente, la struttura più densa della Echeveria aiuta a disperdere le particelle lungo le pareti cellulari, prevenendo l’aggregazione che potrebbe bloccare il trasporto e la diffusione uniforme della luce.
Le particelle sono state ingegnerizzate per essere biocompatibili e resistenti all’idrolisi grazie a un rivestimento di fosfato. Questo assicura che il materiale non danneggi i tessuti vegetali e che la pianta mantenga la sua integrità strutturale e le sue funzioni fisiologiche, come la fotosintesi. I test fisiologici hanno mostrato che i livelli di clorofilla, zuccheri solubili e proteine rimangono paragonabili a quelli delle piante non trattate.
Come funzionano le piante fosforescenti
Una volta iniettate, le piante assorbono l’energia luminosa e la immagazzinano nelle particelle. Dopo pochi minuti di esposizione alla luce solare diretta (o a una luce led bianca intensa), le piante possono continuare a brillare fino a due ore nel buio. Questa luminescenza, sebbene si affievolisca gradualmente, può essere ricaricata ripetutamente con l’esposizione alla luce solare. Incredibilmente, la capacità di emettere luce persiste per almeno 25 giorni dopo il trattamento, e le foglie più vecchie iniettate continuano a brillare sotto stimolazione dei raggi uv anche dopo l’appassimento.
Un aspetto rivoluzionario è la capacità di produrre luce in diversi colori: rosso, blu e verde. Questa versatilità cromatica supera il limite tradizionale del solo verde nelle piante bioluminescenti e apre a scenari decorativi e funzionali completamente nuovi.
Applicazioni per un futuro più verde
I ricercatori vedono il loro lavoro come “il potenziale delle piante luminescenti come sistemi di illuminazione sostenibili ed efficienti, capaci di raccogliere la luce solare durante il giorno e di emettere luce di notte”. Per dimostrarne l’applicazione pratica, il team ha costruito una “parete verde” composta da 56 piante modificate. Questa parete ha prodotto abbastanza luce da permettere di distinguere testi, immagini e persino una persona a una distanza di 3-10 centimetri nel buio, raggiungendo livelli di illuminazione superiori alla soglia minima percepibile dall’occhio umano.
La biologa Shuting Liu, co-autrice dello studio, immagina un futuro dove “giardini o spazi pubblici potrebbero essere dolcemente illuminati di notte da piante luminose”. Aggiunge: “Immaginate alberi luminosi che sostituiscono i lampioni”. Questo offre un modo per le piante di immagazzinare e rilasciare luce in modo indipendente dalla fotosintesi, agendo essenzialmente come una “lampada vivente ricaricata dalla luce”.
Oltre all’illuminazione, le piante luminescenti hanno dimostrato il potenziale per lo storage ottico di informazioni; è stato possibile scrivere e leggere schemi sulla superficie delle foglie utilizzando luce uv.
Prospettive future
Nonostante i progressi, le piante sono ancora lontane dal fornire un’illuminazione funzionale su larga scala. La loro intensità luminosa è ancora troppo debole per applicazioni pratiche come l’illuminazione stradale. La dottoressa Liu riconosce che l’intensità è ancora limitata e che le piante attualmente “possono servire principalmente come pezzi decorativi o luci notturne ornamentali”. Un altro aspetto cruciale è la valutazione della sicurezza delle nanoparticelle per le piante stesse e per gli animali, un processo di analisi e scoperta ancora in corso. Tuttavia, il team è ottimista. “In futuro, se riusciremo a migliorare significativamente la luminosità e prolungare la durata della luminescenza – e una volta che la sicurezza sarà dimostrata in modo conclusivo – potremmo immaginare giardini o spazi pubblici illuminati da piante luminose”. Questo studio, in sintesi, getta le basi per lo sviluppo di sistemi di illuminazione sostenibili, eco-compatibili e basati sulle piante, aprendo la strada a una loro più ampia commercializzazione. La natura potrebbe presto diventare la nostra fonte di luce più sostenibile.