Nella notte tra sabato 25 e domenica 26 ottobre, l’Italia tornerà all’ora solare. Un gesto di routine, ma con conseguenze tutt’altro che marginali: significa rinunciare a un’ora di luce naturale al giorno proprio quando il Paese ne avrebbe più bisogno. Secondo Terna, nei vent’anni compresi tra il 2004 e il 2024 l’adozione dell’ora legale ha garantito un risparmio complessivo di 11,7 miliardi di kWh, pari a 2,2 miliardi di euro in bolletta. E solo nel 2025, nei sette mesi coperti dall’ora legale, il risparmio stimato è di 330 milioni di kWh e 100 milioni di euro.
In termini ambientali, il conto è ancora più eloquente: 160-200 mila tonnellate di CO₂ in meno ogni anno, pari a quella assorbita da milioni di alberi. Spegnere tutto questo per tornare all’ora solare è una scelta che oggi molti giudicano anacronistica. “Il passaggio da ora legale a solare e viceversa non è solo inutile, è dannoso”, osserva Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima). “Aumenta i consumi, disturba il sonno e ha effetti misurabili sulla salute cardiovascolare”.
Non a caso, oltre 350 mila cittadini hanno già firmato una petizione per chiedere di rendere permanente l’ora legale, appoggiata anche da Consumerismo No Profit. La richiesta non riguarda solo le bollette, ma un cambio di logica: adattare l’orario ai ritmi di vita e di consumo del presente, non a quelli di un secolo fa.
Nel frattempo, in Spagna, il premier Pedro Sánchez ha aperto un fronte politico europeo dichiarando che “cambiare l’ora due volte l’anno non ha più senso”. Le sue parole hanno trovato sostegno nella vicepremier Yolanda Díaz e nel ministro della Cultura Ernest Urtasun, che ha definito la misura “un passo verso la salute e il risparmio energetico”. L’Italia osserva, ma non decide: e ogni ottobre spegne un’ora di sole.
Un meccanismo del secolo scorso che l’Europa non riesce a disattivare
L’ora legale nasce nel pieno della Prima guerra mondiale, introdotta nel 1916 per risparmiare carbone. Reintrodotta nel 1966, quando l’elettricità era ancora cara e le giornate scandite dai turni industriali, serviva a tagliare i consumi serali. Oggi, in un’economia che vive tra schermi, smart working e centri commerciali aperti fino a mezzanotte, l’ora solare è un anacronismo energetico.
Nel 2018 la Commissione europea propose di eliminare i cambi semestrali dopo una consultazione record: 4,6 milioni di partecipanti, l’84% favorevole allo stop. L’anno successivo il Parlamento europeo approvò la riforma, lasciando ai singoli Paesi la libertà di scegliere se mantenere per tutto l’anno l’ora solare o quella legale. Poi arrivò la pandemia, e tutto si fermò.
Oggi l’Unione è spaccata: i Paesi del Nord, dove il sole tramonta presto, preferiscono la luce del mattino; quelli del Sud vorrebbero conservarla la sera. Ma un accordo non c’è. Così ogni ottobre l’Europa si sincronizza per poi dividersi di nuovo, con un rituale che ha perso senso economico e scientifico.
Chi sostiene l’abolizione del cambio, come alcuni governi e centri di ricerca energetica, evidenzia che la luce serale è più utile della mattutina: coincide con le ore di picco dei consumi elettrici e riduce la domanda di illuminazione artificiale nelle case, nei negozi e negli uffici. In Italia, dove la vita sociale si concentra nel pomeriggio, il beneficio sarebbe particolarmente rilevante.
Un’ora di luce che vale milioni
Il vero impatto dell’ora legale non si misura in minuti, ma in megawattora. Ogni anno, i mesi di ora legale consentono un risparmio di centinaia di milioni di kWh. È energia che non deve essere prodotta, trasportata e pagata. Nei soli sette mesi del 2025, 330 milioni di kWh in meno equivalgono all’elettricità consumata in un anno da 120 mila famiglie.
Dal punto di vista ambientale, il guadagno si traduce in fino a 200 mila tonnellate di CO₂ evitate, una cifra che nessun’altra misura di risparmio energetico a costo zero riesce a ottenere. L’adozione stabile dell’ora legale equivarrebbe, secondo le stime di Sima, a piantare fino a sei milioni di alberi.
Eppure, a fine ottobre, quel vantaggio svanisce. Il presidente di Consumerismo, Luigi Gabriele, sintetizza il paradosso: “L’Europa investe miliardi nella transizione ecologica e intanto rinuncia a una misura gratuita che riduce emissioni e bollette. L’ora legale permanente sarebbe un intervento strutturale di efficienza energetica”.
L’argomento non è nuovo. Studi condotti in diversi Paesi hanno dimostrato che l’estensione dell’ora legale riduce il consumo complessivo di energia elettrica tra lo 0,5 e l’1%, una percentuale che su scala nazionale equivale a centinaia di milioni di euro. Ma il dibattito resta intrappolato tra abitudini culturali e timori di disallineamento con i partner europei.