Mitigazione e adattamento: due facce della stessa medaglia, il cambiamento climatico. Mentre la COP30 di Belém si avvia a una conclusione che potrebbe riassumersi in un nulla di fatto (ma l’esperienza insegna che i lavori possono protrarsi oltre la fine ufficiale, che in questo caso è oggi 21 novembre), queste due parole rimbalzano ormai ovunque, spesso rischiando di essere confuse dai non addetti ai lavori.
Andiamo dunque a capire di cosa si parla quando si parla di adattamento e mitigazione: due concetti chiave della lotta al cambiamento climatico che, sebbene sembrino simili, rappresentano strategie molto diverse ed entrambe necessarie.
Cosa significa mitigazione
La mitigazione indica tutte le azioni utili a ridurre le cause del cambiamento climatico, in particolare mediante la diminuzione delle emissioni di gas serra e/o l’aumento degli assorbimenti di CO₂.
In altre parole, la mitigazione mira a limitare l’aumento della temperatura globale, il che a lungo termine significa anche ridurre i danni che il cambiamento climatico può provocare. La mitigazione in pratica agisce sulla causa della malattia e porta un beneficio globale: quando un Paese riduce le proprie emissioni, questo contribuisce al rallentamento del riscaldamento su scala planetaria.
Tra le azioni di mitigazione:
• riduzione delle emissioni: abbandonare i combustibili fossili a favore delle energie rinnovabili, migliorare l’efficienza energetica e adottare pratiche di vita e produzioni più sostenibili;
• aumentare l’assorbimento: proteggere e incrementare le foreste e le aree verdi, che assorbono carbonio dall’atmosfera, e sviluppare tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio;
• altre strade: implementare misure per limitare l’impatto ambientale delle attività umane e prevenire rischi naturali, come ad esempio tramite progetti di riqualificazione del territorio e interventi a favore della biodiversità.
Cosa significa adattamento
L’adattamento riguarda invece le azioni che servono a prepararsi o reagire agli impatti già in atto o previsti del cambiamento climatico. Si tratta quindi di modificare processi, strutture, comportamenti per moderare i danni o cogliere opportunità legate alle nuove condizioni climatiche. L’adattamento in pratica, va a curare i sintomi e ha un beneficio più locale: serve a proteggere comunità, territori, ecosistemi dall’impatto del cambiamento climatico.
Tra gli esempi di misure di adattamento:
• cambiamenti infrastrutturali su vasta scala: costruire argini più alti contro l’innalzamento del mare, creare infrastrutture resistenti al caldo estremo, modificare la gestione dell’agricoltura per far fronte a siccità più frequenti;
• cambiamenti comportamentali: riduzione dell’esposizione a temperature elevate, verifica delle condizioni fisiche di familiari e vicini vulnerabili durante le ondate di calore;
• ricerca in campo medico: per lo studio e la cura di malattie che si prevede avranno una maggiore diffusione con il rialzo delle temperature;
• pianificazione urbanistica ad hoc;
• aumento della capacità e dell’efficienza dei vigili del fuoco nel prevenire e gestire gli incendi, questi ultimi sempre più frequenti a causa del riscaldamento climatico.
Perché servono entrambe
Anche se tagliare le emissioni è fondamentale, da solo non è sufficiente. Il cambiamento climatico infatti è già in corso: i ghiacciai si sciolgono, il livello del mare si sta alzando, gli eventi estremi sono sempre più frequenti. L’adattamento è quindi essenziale per fronteggiare ciò che non può più essere evitato.
D’altra parte, però, senza mitigazione gli impatti futuri diventeranno sempre più severi e l’adattamento potrà risultare insufficiente o troppo costoso. I due approcci dunque non solo sono entrambi indispensabili, ma l’efficacia di uno rafforza l’altro.
Le sfide aperte
Mitigazione e adattamento sono approcci che si intersecano e che condividono diverse sfide, di cui anche si è parlato a Belém:
• finanziamenti: storicamente la mitigazione ha ricevuto più risorse rispetto all’adattamento, anche se le comunità più vulnerabili hanno urgente bisogno di adattarsi;
• sinergie e trade-off: alcune misure possono servire sia alla mitigazione che all’adattamento, ma non sempre è facile coniugarle. Occorre evitare che un’azione per l’uno comprometta l’altro (trade off);
• equità e giustizia climatica: i Paesi meno responsabili dell’emergenza climatica sono spesso quelli più vulnerabili agli impatti e con meno risorse per adattarsi.
A tal proposito, in Brasile le nazioni colpite dai disastri hanno chiesto un accordo per destinare 120 miliardi di dollari all’anno all’adattamento, triplicando l’impegno assunto dai Paesi ricchi nel 2021 di fornire 40 miliardi di dollari a questo fine entro il 2025. L’anno scorso il ‘primo mondo’ ha preso un vago impegno ad aumentare i finanziamenti per il clima da 100 a 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035, sempre per l’adattamento.
Ma l’erogazione dei fondi è sempre stata piuttosto carente, e con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca (che il primo giorno è uscito (di nuovo) dagli Accordi di Parigi) e un generale rimbalzo all’indietro delle politiche verdi nell’Unione europea, non sarà facile che la richiesta delle nazioni in via di sviluppo vada in porto.
I problemi che mitigazione e adattamento sono chiamati ad affrontare sono dunque complessi, e necessitano di una visione e un impegno di lungo periodo. Ma allo stesso tempo non andrebbe dimenticato, come invece sembra accada spesso, che possono stimolare nuove soluzioni, aprendo all’innovazione, a nuovi mercati e a nuove opportunità di benessere per la società.