“Fermate le pale eoliche. State rovinando la bellezza dei vostri Paesi”. È bastata questa frase – pronunciata da Donald Trump (all’arrivo in Scozia per chiudere la partita sui dazi tra Usa e Ue, ndr) – per riaprire una frattura mai chiusa tra il presidente americano e la transizione energetica europea. Ma le parole di Trump non si sono fermate a un’estetica ferita: l’accusa è più ampia, rivolta direttamente a Bruxelles, colpevole – a suo dire – di promuovere “un modello suicida” in nome dell’ambiente. “Sorvoli l’Europa e vedi pale ovunque. Uccidono gli uccelli, devastano i campi, distruggono i mari”, ha continuato Trump.
La presa di posizione non arriva nel vuoto. Dallo scorso febbraio, il presidente ha bloccato tutte le nuove concessioni federali per l’eolico offshore negli Stati Uniti, adducendo motivazioni economiche e ambientali. Di fatto, l’industria eolica americana – la più grande tra le rinnovabili del Paese – si è ritrovata in una fase di stallo forzato, con progetti sospesi, investitori in attesa e amministrazioni locali sempre più in contrasto con la linea federale.
Trump ha sempre osteggiato l’energia eolica: la considera inefficiente, pericolosa per la fauna e dannosa per il paesaggio. Negli anni l’ha definita “brutta”, “fragile”, “costosa” e persino responsabile della morte delle balene – un’affermazione mai supportata da dati scientifici. Oggi, da presidente in carica, trasforma quelle convinzioni personali in policy: il blocco alle concessioni non è una provocazione elettorale, ma un atto formale che congela un’intera filiera industriale da decine di miliardi di dollari.
Secondo gli ultimi dati ufficiali, l’energia eolica genera il 10% dell’elettricità statunitense, con una capacità installata superiore a 150 GW. Il comparto occupa oltre 125mila persone, alimenta una rete nazionale di fornitori, produttori di acciaio, cantieri navali, ingegneri, tecnici e aziende manifatturiere. Il blocco presidenziale ha interrotto questa macchina proprio nel momento di massima espansione. E mentre l’Europa continua a investire su impianti offshore e turbine galleggianti, gli Stati Uniti rischiano di perdere la corsa alla leadership globale sull’eolico.
Industria eolica americana in stallo
L’ordine esecutivo firmato da Trump il 20 febbraio scorso ha congelato ogni nuova concessione federale per l’eolico offshore. La misura è stata giustificata con la necessità di “revisione ambientale ed economica”, ma l’effetto reale è un blocco a catena di tutta la filiera americana del vento, proprio nel momento in cui stava entrando in fase espansiva. Secondo Oceantic Network, nei mesi precedenti allo stop presidenziale erano stati attivati oltre 25 miliardi di dollari di investimenti su scala nazionale, con più di 1.900 contratti firmati in 40 Stati e una crescita costante dell’indotto industriale.
Nel dettaglio, 4 miliardi di dollari erano già destinati alla produzione di acciaio per torri e fondazioni, 1,8 miliardi alla costruzione navale necessaria per trasportare e installare le turbine offshore, centinaia di milioni ai porti. In totale, oltre 40 miliardi di dollari mobilitati dal settore tra appalti, cantieri e forniture. Questi fondi non riguardano solo le coste atlantiche o californiane, ma si estendono al Midwest industriale: Ohio, Michigan, Indiana. Stati che avevano iniziato a diversificare le proprie economie riconvertendo impianti per l’eolico.
Oggi negli Stati Uniti sono in funzione oltre 73mila turbine eoliche, che forniscono circa il 10% dell’elettricità complessiva del Paese. L’eolico rappresenta la prima fonte rinnovabile per produzione e la quarta fonte energetica complessiva dopo gas naturale, nucleare e carbone. Le stime dell’American Clean Power Association indicano oltre 125mila posti di lavoro diretti e indiretti nel comparto, tra ingegneri, tecnici, logistica, trasporto, montaggio e manutenzione.
Il rallentamento innescato dalla Casa Bianca rischia ora di azzerare le previsioni di crescita. Secondo il piano precedente del Dipartimento dell’Energia, i progetti eolici offshore avrebbero dovuto generare fino a 56mila nuovi posti di lavoro entro il 2030 e attirare altri 65 miliardi di investimenti privati. Il blocco imposto dalla presidenza non solo ferma le nuove autorizzazioni, ma getta ombre anche su progetti già approvati, che potrebbero finire nel mirino di ricorsi legali o di nuove restrizioni normative.
Lo scontro è aperto anche sul fronte statale. Governatori di Stati democratici – dal New Jersey alla California – hanno annunciato l’intenzione di procedere comunque con gli obiettivi già fissati nei rispettivi piani climatici. Ma senza concessioni federali per le acque offshore, molti progetti rischiano il rinvio indefinito. Il governatore del North Carolina Josh Stein ha parlato di “un colpo durissimo all’economia pulita”, mentre l’industria eolica californiana ha confermato di voler proseguire, puntando sulla giurisdizione statale e sul potenziamento delle reti elettriche.
Come l’Europa governa la spinta all’eolico
Nel 2024, l’Europa ha installato oltre 16,4 GW di nuova capacità eolica, , di cui circa 13,8 GW onshore e 2,6 GW offshore. A guidare il gruppo ci sono Germania, Regno Unito, Paesi Bassi, Francia e Spagna. L’Italia ha prodotto circa 22 TWh da fonte eolica, secondo i dati Terna, e sta riattivando diversi progetti, in particolare nel Sud e nelle aree marine autorizzate. Complessivamente, l’eolico copre oggi circa il 20% della produzione elettrica europea, con l’obiettivo di raggiungere tra 425 e 450 GW di capacità installata entro il 2030, secondo la roadmap definita dalla Commissione europea.
L’impatto sul territorio è reale e visibile, ma non casuale. Ogni impianto deve superare valutazioni di impatto ambientale e paesaggistico, con iter autorizzativi spesso lunghi e complessi. In Paesi come la Germania o la Danimarca, le turbine fanno ormai parte del paesaggio e sono integrate in sistemi agricoli o industriali. Altri Stati, come la Francia e l’Italia, faticano di più a trovare un equilibrio tra sviluppo energetico e tutela dei territori.
Quanto alle preoccupazioni sollevate da Trump su fauna e paesaggio, la risposta di Bruxelles si gioca sul piano tecnico e normativo. La Direttiva Habitat vincola ogni progetto alla tutela delle specie e degli ecosistemi, mentre la Strategia per la Biodiversità 2030 chiede espressamente che le rinnovabili crescano “senza compromettere l’integrità ambientale delle aree protette”. Sui progetti offshore, l’Agenzia europea dell’ambiente ha pubblicato linee guida per minimizzare l’impatto acustico e limitare le interferenze con le rotte migratorie.
Sul fronte economico, il comparto eolico europeo dà lavoro a oltre 300mila persone e genera più di 60 miliardi di euro l’anno. Leader industriali globali come Vestas (Danimarca), Siemens Gamesa (Germania/Spagna) e Nordex (Germania) esportano turbine, componenti e know-how in decine di Paesi. L’industria continentale si sta anche posizionando sul fronte dell’innovazione: pale riciclabili, turbine galleggianti, robotica subacquea per la manutenzione offshore.
Le critiche del presidente Trump arrivano in un momento in cui l’Europa sta cercando di sganciarsi progressivamente dal gas russo, e in cui l’eolico – assieme al fotovoltaico e alle reti intelligenti – è visto come un pilastro strategico della sicurezza energetica. Proprio in Scozia, dove Trump ha attaccato il paesaggio deturpato, si trova una delle più avanzate centrali eoliche galleggianti d’Europa, al largo di Peterhead. Un progetto cofinanziato da fondi Ue e aziende private, che rappresenta una delle frontiere tecnologiche più promettenti del settore.