Nel linguaggio della politica italiana, il termine “futuro” è ormai parte del repertorio ordinario. Ma il riferimento rimane spesso vago, privo di strumenti di supporto, dati, o metodologie operative. A mancare è una reale capacità di pianificazione di lungo termine. È in questo vuoto che si colloca Ecosistema Futuro, iniziativa promossa da ASviS e presentata durante il Future Day 2025, con l’intento di stimolare una riflessione pubblica sistemica su rischi, scenari e traiettorie fino al 2100.
L’iniziativa prende le mosse dal Patto del Futuro delle Nazioni Unite (2024) e si richiama all’articolo 9 della Costituzione italiana, riformato nel 2022 per includere tra i compiti della Repubblica la tutela delle generazioni future. Ma più che uno strumento di intervento, Ecosistema Futuro si propone come spazio di analisi, utile a indagare ciò che manca nei meccanismi decisionali del Paese: un’infrastruttura culturale in grado di orientare le scelte oltre l’immediato.
Pensare la sostenibilità come problema di metodo
Il termine “sostenibilità”, nel discorso pubblico italiano, ha subito una progressiva diluizione semantica. Spesso evocato, raramente articolato in termini operativi. Ecosistema Futuro tenta di restituire consistenza al concetto, trattandolo come una questione metodologica e strutturale: come connettere dinamiche tra loro interdipendenti — dal clima alla demografia, dalla tecnologia alla governance — evitando approcci settoriali.
Carlo Carraro, economista ed esponente del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici e di Ca’ Foscari, ha posto l’accento sull’urgenza di analizzare interazioni sistemiche, come ad esempio il legame tra automazione e migrazione, o quello tra crisi idrica e coesione territoriale. Temi che in Italia continuano a essere affrontati in modo frammentato, sotto vincoli amministrativi rigidi e con orizzonti ancorati al ciclo elettorale o di bilancio.
Al contrario, a livello internazionale si registra una crescente istituzionalizzazione delle pratiche di foresight strategico: strutture interne agli esecutivi incaricate di anticipare vulnerabilità e orientare investimenti a lungo termine. Il Patto del Futuro delle Nazioni Unite promuove esplicitamente l’integrazione di queste competenze nei processi legislativi. In Italia, però, tali meccanismi risultano ancora assenti.
In questo scenario, Ecosistema Futuro svolge più un ruolo diagnostico che esecutivo: mette a fuoco le mancanze del sistema, sollevando la questione della capacità di visione come prerequisito per qualsiasi progetto sostenibile.
Otto under 30, otto traiettorie del cambiamento
Una delle componenti più tangibili dell’iniziativa è stata la messa a fuoco di esperienze già operative, sviluppate da otto giovani under 30 impegnati in ambiti diversi: Irene Guerriero (nanomedicina), Bianca Arrighini (comunicazione per Gen Z), Carlotta Sarina-Lotta (attivismo ambientale), Claudio Piazzai (aerospazio), Chiara Schettino (sanità digitale), Angelica De Vito (diritto ambientale internazionale), Florian Sejko (governance partecipativa) ed Eugenio Russo (innovazione scolastica).
Si tratta di esperienze non coordinate tra loro, ma che condividono un approccio sistemico e concreto: usare le competenze disponibili per affrontare problemi già attuali, senza attendere soluzioni dall’alto. In questo senso, la dimensione “futuribile” è già presente — ma in forma distribuita e frammentaria.
Queste pratiche non sono ancora in grado di modificare strutturalmente le politiche pubbliche, ma mettono in discussione il modello verticale dell’innovazione. Qui la tecnologia non è un fine, ma uno strumento contestuale, interpretato a partire dai territori, dalle comunità, dai bisogni. È questa lettura situata del futuro che oggi manca nei centri decisionali.
Tra diritti non ancora nati e mancanza di architetture pubbliche
Il Patto del Futuro, firmato da 143 Paesi e approvato all’Onu nel 2024, ha introdotto per la prima volta una cornice globale che riconosce i diritti delle generazioni future come oggetto di tutela. Oltre al documento principale, due allegati — il Global Digital Compact e la Dichiarazione sulle Generazioni Future — propongono azioni concrete in settori come la governance dell’Ai, l’equità intergenerazionale e la riforma degli indicatori di progresso.
Tra le misure previste: superamento del pil come unico metro di benessere, valutazione generazionale delle leggi, creazione di strutture pubbliche di previsione, inclusione di esperti indipendenti nei processi decisionali digitali. Nonostante l’Italia abbia aderito formalmente, nessuna di queste azioni è oggi operativa. Non esistono unità di previsione strategica presso Parlamento o Ministeri, né autorità indipendenti con mandato su questi temi.
Ecosistema Futuro opera proprio in questo spazio vuoto. Non ha una funzione istituzionale, ma individua i vuoti strutturali e prova a colmare, almeno temporaneamente, l’assenza di spazi di confronto interdisciplinare. La sua struttura è orizzontale, aperta, aggregativa. Ma non risolve il problema di fondo: chi è responsabile, oggi, della tutela del lungo periodo?
Alcune iniziative legislative vanno in direzione opposta al corto-termismo dominante. È il caso della legge — in discussione — per introdurre la valutazione d’impatto generazionale delle norme, già approvata al Senato. Ma mancano strumenti di monitoraggio, linee guida applicative, e — soprattutto — una governance pubblica che renda questi strumenti vincolanti.
Tra gli obiettivi dichiarati di Ecosistema Futuro c’è l’organizzazione, entro il 2027, di una Assemblea Nazionale sul Futuro. Non un evento celebrativo, ma un processo che dovrebbe mobilitare cittadini, esperti e istituzioni per affrontare domande oggi rimandate: quali tecnologie regolare ora per evitare derive domani? Quali metriche adottare per misurare il benessere post-2030? Quali priorità ridefinire in campo educativo, climatico, economico?
Come ha osservato Enrico Giovannini, direttore scientifico di ASviS, durante il Future Day:
“Serve costruire una visione per il futuro del nostro Paese, altrimenti saremo parte della visione di qualcun altro. L’Italia, su questi temi, è ancora indietro, spesso bloccata in un dibattito di breve termine che impedisce alla classe politica, alle imprese e alla collettività di immaginare una società diversa, più creativa, più innovativa, più prospera”.
Domande che implicano capacità di anticipazione, ma anche assunzione di responsabilità. Ed è proprio questo il nodo che Ecosistema Futuro mette sul tavolo: immaginare è necessario, ma senza strutture che trasformino le idee in scelte, il futuro resta fuori dal campo d’azione istituzionale.