In Italia, ogni giorno, si prelevano ben 25 milioni di metri cubi d’acqua per uso potabile, per un totale annuo che supera i 9 miliardi di metri cubi. Un quantitativo imponente che, almeno in teoria, dovrebbe soddisfare le esigenze di cittadini e imprese. Peccato che di questa enorme massa d’acqua, poco più della metà riesca effettivamente a raggiungere le case degli italiani. Il resto? Svanisce nel nulla, vittima di un sistema idrico colabrodo che disperde circa il 40% dell’acqua immessa in rete, con perdite che ammontano a 3,4 miliardi di metri cubi all’anno. Come se non bastasse, un altro miliardo di metri cubi evapora nei processi di potabilizzazione.
Il quadro delineato dalla Corte dei conti nella sua recente relazione è impietoso: un sistema inefficiente, costoso e con ampi margini di miglioramento, ma ancora privo di una strategia unitaria e risolutiva. Nel frattempo, l’Italia continua a prelevare acqua senza riuscire a utilizzarla in modo efficace, mentre emergono con crescente urgenza i problemi legati alla siccità e ai cambiamenti climatici.
Una governance frammentata e investimenti a singhiozzo
A rendere ancora più complicata la situazione c’è la gestione frammentata del servizio idrico. La governance italiana si basa su un sistema multilivello che coinvolge tre ministeri, ma il coordinamento è spesso inefficace e la pianificazione degli interventi procede a rilento. Il Servizio idrico integrato, introdotto nel lontano 1994 con la legge n. 36, non è ancora stato pienamente attuato, lasciando diverse aree del Paese in balìa di gestioni economiche inefficienti e con scarsa capacità di investimento. Il risultato? Impianti vetusti, reti colabrodo e una cronica carenza di fondi per l’ammodernamento delle infrastrutture.
Secondo la Corte dei conti, l’Italia avrebbe bisogno di almeno 6 miliardi di euro all’anno per garantire un servizio idrico efficiente, ma le risorse attualmente disponibili non superano i 4 miliardi. A rendere ancora più incerta la situazione è l’incidenza dei costi energetici, che pesano per un terzo sulle spese correnti: il 2,5% dell’intero consumo elettrico nazionale è infatti destinato alla gestione del sistema idrico, rendendolo ancora più vulnerabile agli aumenti dei prezzi dell’energia.
Fondi, Pnrr e tariffe
La questione del finanziamento delle infrastrutture idriche resta un nodo irrisolto. Attualmente, sono in corso 628 interventi per un valore complessivo di 5,3 miliardi di euro, di cui 3,7 miliardi finanziati attraverso il Pnrr. La maggior parte di questi investimenti è destinata a migliorare la sicurezza dell’approvvigionamento idrico e a ridurre le perdite nelle reti di distribuzione, anche grazie alla digitalizzazione e al monitoraggio intelligente.
Tuttavia, il futuro appare incerto: una volta esauriti i fondi del Pnrr, previsti fino al 2026, l’Italia dovrà scegliere se aumentare le tariffe idriche o trovare altre fonti di finanziamento per garantire la continuità degli investimenti. Il confronto con gli altri Paesi europei evidenzia l’inadeguatezza dell’attuale sistema tariffario italiano: gli investimenti lordi nel settore idrico sono aumentati da 33 a 70 euro pro capite nel periodo 2012-2023, ma restano comunque insufficienti per colmare il gap infrastrutturale.