Le aziende che non adottano misure per contrastare i rischi climatici potrebbero vedere fino al 25% dei propri profitti aziendali a rischio entro il 2050, mentre a livello globale il Pil potrebbe contrarsi fino al 22% entro la fine del secolo. Non si tratta di scenari remoti: dal 2000 a oggi, eventi estremi legati al clima hanno già causato 3.600 miliardi di dollari di danni economici – di cui 1.000 miliardi solo tra il 2020 e il 2024, più della metà dovuti a tempeste e uragani. Europa e negli Stati Uniti sono in prima linea. È quanto rivela un nuovo studio del World Economic Forum in collaborazione con Boston Consulting Group (Bcg), dal titolo ‘The Cost of Inaction: A Ceo Guide to Navigating Climate Risk’.
Aziende di fronte a eventi estremi e rischi di transizione
Il report di Bcg e Wef distingue due tipi di minacce per le aziende. Da un lato i rischi fisici, legati agli eventi estremi come uragani, incendi e siccità, che danneggiano infrastrutture, rallentano le produzioni e interrompono le supply chain. Dall’altro i rischi di transizione, che derivano dall’aumento della carbon tax e dalla svalutazione degli asset legati ai combustibili fossili. Ad esempio, la domanda mondiale di carbone è destinata a diminuire del 90% entro il 2050, impedendo a qualsiasi impianto messo in funzione dopo il 2010 di raggiungere la fine del suo ciclo di vita (che è in media di 20-25 anni). Inoltre, nei prossimi due decenni le imprese più esposte vedranno i costi operativi lievitare e il valore di asset fossili calare fino a -35% già entro il 2030, con conseguenze in diverse industrie.
Nonostante il crescente riconoscimento dei rischi climatici, molte aziende sembrano sottostimare la loro entità. Un’analisi dei bilanci mostra che le imprese riportano impatti finanziari stimati attorno all’1-3%, quando in realtà, secondo gli scenari di Bcg, la perdita reale potrebbe oscillare tra il 5% e il 25% dell’Ebitda nei prossimi decenni.
Investire nella transizione ecologica è economicamente vantaggioso
Di fronte a questo scenario, il rapporto evidenzia come investire nella transizione ecologica non sia solo una necessità ambientale, ma anche una scelta economicamente vantaggiosa per le imprese. Ogni dollaro investito in resilienza climatica genera un ritorno economico compreso tra 2 e 19 dollari, evitando perdite future. Anche a livello macroeconomico gli investimenti sono vantaggiosi sul lungo termine: per mantenere il riscaldamento sotto i 2°C, sarebbe necessario investire circa il 2% del Pil globale in mitigazione e un ulteriore 1% in adattamento, ampiamente ripagati dal momento che si eviterebbero perdite tra il 10% e il 15% del Pil mondiale entro la fine del secolo.
Non solo: il mercato è in espansione. Il valore dell’economia verde passerà dagli attuali 5mila miliardi di dollari ai 14mila miliardi entro il 2030. Secondo lo studio, a trainare la crescita saranno l’energia alternativa (49% del mercato), i trasporti sostenibili (16%) e i prodotti di consumo eco-friendly (13%): settori che stanno crescendo a un ritmo annuo del 10%-20%, ben al di sopra del tasso di crescita globale.
“L’adattamento climatico non è un costo”
“Molte aziende sono consapevoli dei rischi climatici, ma faticano a tradurli in una strategia concreta. Il vero pericolo è pensare che il clima sia un problema distante, quando in realtà l’impatto economico dei rischi fisici da eventi atmosferici è già evidente e, senza azioni concrete, destinato a crescere in modo esponenziale – afferma Lorenzo Fantini, Managing Director e Partner di Bcg – Non possiamo più permetterci di ignorare i segnali d’allarme: l’adattamento climatico non è un costo, ma un investimento necessario per salvaguardare il proprio business. Rimandare significa pagare poi un prezzo esorbitante quando il rischio diventa realtà”.