Lo smart working riduce i divari di genere e territoriali: l’analisi di Bankitalia

Lo studio di Banca d’Italia documenta un impatto positivo del lavoro da remoto, in particolare per le donne e nel Mezzogiorno
29 Agosto 2025
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Smart Working Donna

La pandemia ha trasformato il lavoro da remoto in un esperimento di massa. In Italia non è rimasto un episodio, ma un fattore che ha inciso sulle scelte occupazionali. Uno studio della Banca d’Italia, che ha seguito l’evoluzione tra il 2019 e il 2023, mostra come la diffusione dello smart working abbia favorito la partecipazione al mercato del lavoro e, in misura minore, l’occupazione. Non in modo uniforme: l’impatto è stato più forte per le donne, soprattutto tra i 25 e i 49 anni, e nei territori del Mezzogiorno.

In altre parole, la pratica si è diffusa soprattutto al Nord e nelle grandi città, ma i suoi benefici più consistenti si sono concentrati altrove, nei contesti più fragili. Una dinamica che ribalta l’idea comune di uno smart working “da metropoli” e lo riconsegna come leva di inclusione.

I numeri di Bankitalia

La stima si fonda su dati amministrativi e ufficiali: le comunicazioni delle imprese all’Inail sui dipendenti in smart working, integrate con le serie Istat sui tassi di attività e occupazione. Da qui emerge che un incremento dell’1 per cento degli occupati in remoto porta in media a +0,12 punti di partecipazione e +0,09 di occupazione. Cifre che pesano in un Paese che nel 2023 restava sotto la media europea, con un tasso di attività al 66,7 per cento e un’occupazione al 61,5.

Il quadro territoriale rivela l’asimmetria. Nel Mezzogiorno la partecipazione è salita di quasi tre punti e l’occupazione di oltre tre dal 2019 al 2023, mentre al Nord i progressi sono stati più contenuti. Qui il lavoro da remoto era già più diffuso, ma ha inciso poco sulle scelte. Al Sud, pur meno praticato, ha ridotto barriere concrete come pendolarismo lungo, costi elevati e carenza di servizi. In sintesi, ha avuto un ruolo inclusivo proprio dove l’inclusione era storicamente più debole.

Chi ha beneficiato di più

Il divario di genere resta tra i più ampi in Europa: nel 2023 la partecipazione femminile era al 57,7 per cento contro il 75,4 maschile, con uno scarto di 18 punti, che nel Mezzogiorno sale a 26. In questo contesto, lo smart working ha fatto la differenza. Per le donne tra 25 e 49 anni, fascia segnata dagli impegni di cura, un aumento della sua diffusione ha comportato circa un punto in più di partecipazione e quasi uno di occupazione, mentre per gli uomini coetanei l’impatto è stato inferiore.

Determinante il legame con i servizi all’infanzia. Dove la copertura dei nidi resta sotto il 20 per cento, come in gran parte del Sud, il lavoro da remoto ha inciso maggiormente. Nel Centro-Nord, dove i servizi coprono oltre un terzo dei bambini e la partecipazione femminile è più alta, l’effetto aggiuntivo è stato ridotto. Lo smart working ha quindi compensato, almeno in parte, un welfare carente, mantenendo attive migliaia di donne che altrimenti avrebbero lasciato il mercato.

Meno diffuso, più utile

La mappa della diffusione e quella degli effetti non coincidono. Al Nord e nelle aree urbane lo smart working è più comune, ma i suoi impatti più forti si sono visti nel Mezzogiorno e nei territori periferici. Nei mercati locali meridionali l’aumento standard della sua adozione ha portato a guadagni fino a 1,7 punti nella partecipazione e 1,4 nell’occupazione, mentre al Centro-Nord l’impatto è rimasto marginale.

La spiegazione è lineare: nelle aree sviluppate il lavoro agile aggiunge flessibilità, ma non modifica sostanzialmente le condizioni di accesso. Al Sud, invece, ha abbattuto ostacoli materiali rendendo praticabile un ingresso che prima era troppo oneroso. Tra 2019 e 2023 il divario Nord-Sud si è ridotto, pur restando ampio, grazie anche a questo correttivo. Lo smart working, nato come soluzione emergenziale per grandi imprese urbane, si è rivelato uno strumento utile proprio nei territori più penalizzati.

Oltre l’emergenza

Nel 2019 lo smart working era quasi inesistente: più del 95 per cento degli occupati non lo aveva mai praticato. Con la pandemia, milioni di persone hanno lavorato da casa, e anche dopo la fine delle restrizioni la quota non è tornata ai livelli precedenti. Oggi il lavoro da remoto è una componente stabile, spesso in forma ibrida, che alterna distanza e presenza.

Le stime mostrano che un incremento standard continua a generare circa 0,9 punti percentuali di partecipazione e 0,7 di occupazione nei mercati locali. Non è più un fenomeno transitorio, ma un cambiamento strutturale che ha ridisegnato le mappe del lavoro. La nuova normalità è fatta di maggiore flessibilità, meno pendolarismo e una diversa conciliazione dei tempi di vita. Gli effetti più evidenti restano su categorie tradizionalmente marginalizzate: donne con figli piccoli, residenti nelle aree periferiche, cittadini del Mezzogiorno. Per un Paese che fatica a colmare i divari con l’Europa, il lavoro da remoto è diventato un fattore concreto di inclusione.

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