In dodici mesi l’uso dell’intelligenza artificiale nel reporting Esg è quasi triplicato, passando dall’11% al 28% a livello globale. Il dato, contenuto nella Global Sustainability Survey di PwC, fotografa un cambiamento che fino a un paio d’anni fa sarebbe sembrato impensabile: software di analisi e piattaforme Ai non solo supportano la raccolta e l’aggregazione dei dati, ma stanno entrando nella scrittura dei report, nell’identificazione dei rischi e nella sintesi delle informazioni da comunicare agli stakeholder. La survey ha coinvolto 496 executive e professionisti C-level di 40 Paesi, di cui 74 italiani, e restituisce la misura di una trasformazione che non è più confinata a sperimentazioni isolate.
La pressione normativa e di mercato ha reso il reporting Esg un terreno competitivo. Oltre il 60% delle aziende intervistate ha aumentato risorse e tempo dedicati dal top management, e solo il 5% ha ridotto gli investimenti. Il 36% ha già pubblicato un report, il 41% prevede di farlo seguendo la direttiva europea Csrd, e un altro 23% guarderà agli standard internazionali Issb. Ma i numeri diventano più interessanti se si guarda al comportamento delle imprese: il 42% delle aziende soggette alla Csrd sfrutterà i due anni di rinvio concessi dall’Ue, mentre un altro 40% ha scelto di pubblicare volontariamente anche senza obbligo. Segno che la partita non si gioca solo sull’adempimento, ma sulla costruzione di un vantaggio reputazionale e competitivo.
Secondo PwC, a spingere in questa direzione è soprattutto il coinvolgimento dei vertici: il 40% delle aziende che ha aumentato le risorse ha anche chiamato in causa in modo più diretto amministratori delegati e Cda, con effetti immediati sulla governance. Gaia Giussani, partner Esg di PwC Italia, sintetizza così la fase attuale: “Il 2025 è l’anno in cui il reporting Esg ha smesso di essere solo un obbligo normativo ed è diventato un asset strategico. Le aziende stanno rispondendo con decisione: investono, accelerano, integrano. Nonostante le incertezze regolatorie, molte imprese scelgono di andare oltre la compliance, anticipando i tempi e puntando su trasparenza e fiducia. La tecnologia, in particolare l’Ai, sta trasformando il modo in cui si raccolgono e si analizzano le informazioni”.
Oltre la compliance
Il reporting Esg non è più percepito come una voce di costo fine a sé stessa. Il 68% delle aziende che ha già pubblicato un report afferma di aver ottenuto benefici tangibili oltre la compliance. Tra questi, l’impatto sulle decisioni strategiche, sulla gestione dei rischi e sulla trasformazione della supply chain. A livello globale il 28% rileva un impatto significativo, percentuale che in Italia scende al 39%, segno di un approccio più prudente ma comunque orientato al valore.
Il legame tra investimenti e ritorni è netto. Le imprese che hanno ottenuto maggiori vantaggi sono le stesse che hanno incrementato le risorse dedicate: il 56% ha aumentato in modo significativo il budget per il reporting Esg (contro il 36% in Italia) e il 40% ha ampliato il coinvolgimento del top management. Non si tratta solo di rendicontare dati ambientali o sociali, ma di trasformarli in strumenti operativi per orientare scelte su fornitori, nuovi mercati e politiche di investimento.
Dal punto di vista settoriale, l’indagine mostra come manifatturiero e automotive guidino la classifica (29% del campione), seguiti da servizi finanziari (19%) ed energia-utilities-risorse (18%). È proprio in questi comparti che la capacità di misurare emissioni, efficienza energetica, impatti sociali e governance può determinare l’accesso a finanziamenti, partnership e bandi europei. Non sorprende quindi che oltre la metà delle aziende che hanno già pubblicato un report Esg faccia uso di strumenti digitali per la gestione dei dati e il calcolo delle emissioni. La tecnologia riduce i margini di errore, ma soprattutto consente di passare dal reporting statico a una fotografia dinamica e aggiornata delle performance.
Il dato geografico conferma la spinta europea: il 66% delle aziende coinvolte ha sede in Europa occidentale, il 22% in Asia-Pacifico, mentre Stati Uniti, Regno Unito, Canada e America Latina insieme coprono appena il 12%. L’Europa resta il laboratorio più avanzato in materia di sostenibilità, anche per effetto delle normative stringenti, ma il quadro si sta ampliando e i gruppi multinazionali non possono più permettersi approcci differenziati.
L’intelligenza artificiale tra opportunità e rischi
Il balzo in avanti dell’intelligenza artificiale nel reporting Esg è il dato più evidente della survey PwC. Nel giro di un anno l’adozione è passata dall’11% al 28%. Le applicazioni più diffuse riguardano la redazione e la sintesi dei report, l’integrazione dei dati provenienti da sistemi diversi e l’identificazione dei rischi. In pratica, gli algoritmi supportano attività che richiedevano mesi di lavoro manuale, consentendo una velocizzazione significativa e un abbattimento dei costi.
Ma la tecnologia non è una panacea. L’affidabilità dei dati resta centrale, e l’intelligenza artificiale non può compensare eventuali carenze nei sistemi di raccolta. La survey mette in evidenza un punto critico: il 37% delle aziende che ha già pubblicato un report Esg ritiene che un coinvolgimento anticipato dei revisori avrebbe migliorato la qualità del reporting. In Italia la percentuale sale al 43%. Significa che senza una supervisione professionale, l’automazione rischia di produrre report formalmente completi ma privi di solidità metodologica.
La questione è particolarmente sensibile per i dati sulle emissioni, spesso frutto di stime e modelli. Un algoritmo può accelerare il calcolo, ma non sostituire la necessità di dati primari affidabili e verificabili. Il rischio, altrimenti, è quello di alimentare un nuovo “greenwashing digitale”, con report impeccabili dal punto di vista grafico e narrativo, ma deboli nella sostanza. Da qui l’importanza del lavoro interfunzionale: la survey evidenzia come i migliori risultati arrivino dalle aziende che hanno coinvolto fin da subito revisori, team finanziari e uffici legali insieme ai responsabili della sostenibilità.
La corsa a ostacoli delle imprese europee
La direttiva Csrd ha imposto una scadenza chiara, ma le incertezze regolatorie hanno spinto molti gruppi a sfruttare il rinvio concesso. Il 42% delle aziende europee interessate posticiperà di due anni l’obbligo di pubblicazione, mentre in Italia la quota scende al 23%. All’opposto, il 40% delle imprese ha scelto di pubblicare comunque, anche senza obbligo immediato. È la prova che per una fetta crescente di operatori il reporting Esg non è più una questione di compliance, ma di posizionamento competitivo e reputazionale.
Le aziende con ricavi superiori a 10 miliardi di dollari (18% del campione) sono quelle che più spesso scelgono di anticipare, spinte dalla pressione degli investitori e dalle richieste delle catene di fornitura globali. Ma non mancano le medie imprese (63% del campione con fatturato tra 100 milioni e 10 miliardi) che decidono di posizionarsi in anticipo. Insomma, è evidente che trasparenza e rendicontazione non sono più un freno, ma una leva per attrarre capitali e costruire relazioni di lungo periodo con clienti e stakeholder.
Il paradosso è che, mentre le norme cercano di uniformare il quadro, sono proprio le aziende a creare una sorta di “competizione virtuosa” pubblicando volontariamente e andando oltre gli standard minimi. Questo genera un doppio livello di pressione: chi si limita alla compliance rischia di sembrare meno ambizioso, mentre chi anticipa i tempi raccoglie i dividendi in termini di fiducia e credibilità. In un contesto in cui la reputazione può valere più di un bilancio positivo, la scelta non è neutrale.