Le imprese italiane stanno rallentando l’adozione della rendicontazione non finanziaria mentre il contesto ambientale richiede un’accelerazione verso modelli di business più responsabili. L’importanza percepita delle pratiche Esg sta scemando anche a causa dell’attuale contesto politico e commerciale, innescato (soprattutto ma non solo) dalla seconda presidenza Trump. Tornando alla Casa Bianca, il presidente americano ha annunciato il ritiro degli Usa dagli Accordi di Parigi entro il 2026 e, con la sua politica protezionista, ha spinto gli alleati (Ue in primis) a ridimensionare i propri ambientali, accelerando un percorso già iniziato nella secondo mandato von der Leyen. Lo stesso partito della presidente della Commissione europea, il Ppe, ha chiesto all’esecutivo comunitario di congelare il green deal per le aziende per due anni, con ripercussioni a cascata.
Analizziamo i numeri che fotografano questa situazione e come l’intelligenza artificiale potrebbe rappresentare una leva strategica per invertire la tendenza.
Il quadro attuale: un’Italia a due velocità
Secondo i dati di ConsumerLab, solo l’1,76% delle aziende con oltre 20 dipendenti redige un bilancio di sostenibilità, percentuale che precipita allo 0,63% per quelle con più di 10 addetti. Tra le 1.915 principali realtà del Paese, appena il 28,2% pubblica questo documento, mentre il 64% non comunica alcun report in materia. Un’analisi pubblicata su Esg360 a gennaio 2025 mostra un miglioramento parziale, con il 30,3% delle 2.612 imprese dell’indice Mediobanca che pubblica un bilancio di sostenibilità. Tuttavia, esaminando 25.135 imprese italiane con 50-499 dipendenti, emerge che solo il 6% pubblica questo documento.
Il presidente di ConsumerLab, Francesco Tamburella, ha dichiarato esplicitamente che “sul fronte della sostenibilità si assiste in Italia ad una arretratezza preoccupante, con la maggior parte delle imprese che non ha compreso le opportunità dell’evoluzione sostenibile e i relativi benefici sul fronte della competitività”
I dati raccolti dall’Istat nel rapporto “Pratiche sostenibili nelle imprese nel 2022 e le prospettive 2023-2025” mostrano un panorama imprenditoriale frammentato. Se da un lato il 66,5% delle imprese dichiara di aver intrapreso una qualche azione per la sostenibilità, dall’altro emerge una netta disparità dimensionale: l’impegno sale all’86,9% tra le grandi aziende, scende al 69% nelle medie imprese e crolla drasticamente al 43,6% nelle piccole realtà.
Anche sotto questo parametro il Paese è spaccato: le imprese del Nord Ovest (69,7%) e del Nord Est (66,5%) hanno attuato più misure sostenibili rispetto al Centro (63%) e al Sud (55,1%).
Guardando ai dati storici, la situazione non sembra migliorare significativamente. Nel 2021, la ricerca “Sostenibilità alla sbarra” di ConsumerLab rilevava che solo l’1,76% delle imprese con più di venti addetti redigeva un bilancio di sostenibilità, percentuale che scendeva allo 0,63% per le aziende con più di dieci addetti. Tra le 1.915 principali imprese italiane (classifica Mediobanca), solo il 28,2% presentava un bilancio di sostenibilità, con performance ancora peggiori nel settore bancario (18,2%) e assicurativo (27,6%).
Le cause del rallentamento
Diversi fattori contribuiscono a questo arretramento oltre al quadro politico di cui abbiamo fatto cenno in apertura. Da un lato, la complessità delle procedure e i ritardi nell’attuazione di piani strategici come la Transizione 5.0 hanno generato un clima di incertezza che ha frenato gli investimenti. Come evidenziato da recenti analisi i ritardi nell’implementazione del piano strategico per la digitalizzazione e la sostenibilità delle imprese stanno generando una drastica contrazione della domanda di macchinari e beni strumentali che ha causato perdite stimate intorno ai 5 miliardi di euro
Dall’altro lato, la frammentazione del tessuto imprenditoriale italiano, caratterizzato da una prevalenza di piccole e medie imprese con risorse limitate, rappresenta un ostacolo strutturale all’adozione di pratiche sostenibili che richiedono investimenti significativi e competenze specializzate.
Una pratica diffusa è quella che Consumer Lab chiama “sustainability washing” nell’Index Future Respect pubblicato sul finire dell’anno scorso: una sostenibilità di facciata dove le informazioni vengono presentate in modo mascherato o confuso, talvolta persino falso, per ingannare i consumatori. Dall’analisi dettagliata dei bilanci emerge un’eccessiva autoreferenzialità, con comunicazioni prolisse, banali, ambigue e carenti di dati concreti sulla misurazione degli impatti.
L’intelligenza artificiale come acceleratore di sostenibilità
In questo scenario complesso, l’intelligenza artificiale emerge come potenziale game-changer, capace di offrire soluzioni innovative per superare le barriere all’adozione di pratiche sostenibili.
Le applicazioni dell’Ai per la sostenibilità spaziano attraverso molteplici dimensioni:
Ottimizzazione delle risorse e riduzione degli sprechi
L’Ai consente di analizzare enormi quantità di dati per identificare inefficienze e ottimizzare l’uso delle risorse. Nelle smart cities, grazie all’utilizzo combinato di sensoristica IoT ed algoritmi predittivi, si possono ridurre i consumi energetici del 15-20%, modulando l’illuminazione pubblica e il traffico in tempo reale. Nel settore agricolo, droni equipaggiati con sistemi AI analizzano l’umidità del suolo, ottimizzando l’irrigazione e riducendo lo spreco idrico fino al 30%. Questo approccio di “agricoltura di precisione” permette di monitorare le condizioni del suolo, le esigenze idriche delle colture e la presenza di parassiti, consentendo decisioni informate riguardo l’irrigazione e l’uso di fertilizzanti.
Gestione della supply chain e trasparenza
I modelli di machine learning possono tracciare l’impronta carbonica lungo tutta la filiera, identificando inefficienze con una precisione del 92% superiore ai metodi tradizionali. Gli algoritmi di Ai possono analizzare dati storici e attuali per prevedere con maggiore precisione la domanda di prodotti, riducendo l’eccesso di inventario e minimizzando gli sprechi.
Nella logistica, l’Ai ottimizza i percorsi di trasporto, riducendo le distanze percorse e il consumo di carburante. Gli algoritmi analizzano dati sul traffico, condizioni meteorologiche e altri fattori per pianificare le rotte più efficienti, contribuendo a ridurre le emissioni di gas serra e i costi logistici.
Risk management e nuove opportunità
L’intelligenza artificiale offre strumenti avanzati per il risk management in ambito Esg, consentendo alle imprese di “comprendere e monitorare i rischi Esg” e “identificare le aree di operations o di business nelle quali si nascono spazi di miglioramento”.
Questo approccio non si limita a evitare rischi, ma apre nuove opportunità di business. Come evidenziato dagli esperti, “un maggior controllo dei rischi permette anche una migliore identificazione di nuove opportunità”. L’Ai può supportare lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi nativamente sostenibili, analizzando la predisposizione del mercato.
Gli ostacoli sul percorso
Nonostante il potenziale trasformativo dell’Ai, la sua adozione per obiettivi di sostenibilità presenta alcuni ostacoli. Il consumo energetico degli algoritmi di machine learning, i bias algoritmici e le questioni etiche richiedono un approccio responsabile e consapevole.
Per invertire la tendenza attuale, è necessario un approccio integrato che combini politiche pubbliche efficaci, investimenti privati e innovazione tecnologica. L’intelligenza artificiale può fungere da catalizzatore, ma richiede un ecosistema favorevole per esprimere il suo potenziale.
Come sottolinea un proverbio aborigeno, “prenditi cura della Terra e la Terra si prenderà cura di te, distruggi la Terra e la Terra ti distruggerà”. In questa prospettiva, l’arretramento delle imprese italiane in materia di sostenibilità non è solo un problema economico, ma una sfida esistenziale che richiede un cambio di paradigma.