L’Italia ha un grave problema con l’innovazione, “Serve un New Deal delle competenze”

Il Paese si posiziona 24° su 37 analizzati dal The European House – Ambrosetti. Tra i 109 “unicorni” nati lo scorso anno in Ue, solo 3 in Italia
14 Giugno 2024
5 minuti di lettura
Innovazione Tecnologica Italia

L’innovazione è la chiave per aumentare la competitività di un Paese, ma l’Italia continua a rimanere indietro. Il Global Innosystem Index 2024 di TEHA, sviluppato dalla InnoTech Community di The European House – Ambrosetti, conferma questa tendenza.

L’indice ha analizzato 37 Paesi ad alta performance innovativa, e l’Italia si è posizionata al 24° posto con un punteggio di 3,19 su una scala da 1 a 10, scendendo di una posizione rispetto al 2020. Questo posizionamento la pone davanti solo a Spagna (3,18) e Grecia (3,02), mentre ai vertici troviamo Singapore (5,41), Israele (5,21) ed Estonia (5,17).

Le debolezze dell’Italia nell’innovazione

Gli indicatori chiave del TEHA Index evidenziano punto per punto le debolezze dell’Italia. Emerge che il Belpaese è:

  • al 32° posto per l’innovazione dell’ecosistema;
  • al 28° per il capitale umano;
  • al 24° per lo sviluppo di un ecosistema attrattivo;
  • al 22° per le risorse finanziarie a supporto dell’innovazione;
  • al 10° posto per la capacità di generare nuove idee e per il loro impatto economico.

Quest’ultimo punto è senz’altro una nota positiva e un barlume di speranza che conferma la capacità italiana di ingegnarsi nel trovare soluzioni originali. Le domande di brevetto depositate ne sono una conferma: per la prima volta l’Italia supera quota 5.000 con una crescita del 38% nella decade 2014-2023 (dai 3.649 del 2014 ai 5.053 del 2023). Risultati positivi per il Belpaese anche nel tasso di successo dei brevetti di applicazione, che si colloca al 5° posto nelle top 25 country a livello mondiale.

Le regioni italiane e l’innovazione

L’analisi è scesa anche più in profondità con il TEHA – Regional Innosystem Index che ha valutato le performance degli ecosistemi innovativi di 242 regioni europee.
A guidare l’innovazione in Italia è la Lombardia, al 39° posto tra le regioni che è avanzata di quattro posizioni rispetto al 2020. Le altre zone ben piazzate sono la Provincia Autonoma di Trento (48° posto), il Lazio (49°) e l’Emilia-Romagna (76°). Tuttavia, in generale, le regioni italiane si collocano molto al di sotto delle regioni Ue più innovative in quasi tutti gli indicatori di performance.

Investimenti, competenze e non solo: tutte le carenze dell’Italia

La ricerca elaborata da The European House – Ambrosetti indica che per migliorare l’ecosistema dell’innovazione l’Italia deve lavorare su vari fronti.

Il primo è quello degli investimenti in Ricerca e Sviluppo. Nel Paese solo l’1,45% del PIL viene allocato per la ricerca e il budget che deriva dal settore pubblico è ancora troppo limitato (1,18%). È necessario allinearsi quantomeno al target fissato dall’Ue pari al 3% di spesa in rapporto al PIL.
Per questo, il Paese ha bisogno di attrarre investimenti anche dall’estero, cosa che, segnala lo studio, viene agevolata dai programmi di ricerca di lungo periodo, ancora molto carenti in Italia.

Gli autori evidenziano anche delle ragioni più pratiche e ben note agli italiani: occorre agevolare l’accesso agli incentivi per le imprese che investono in innovazione e tecnologie. L’eccessiva burocratizzazione incide sul ritardo dell’innovazione del Paese.

Startup, scaleup e uffici di trasferimento tecnologico

Mentre l’evoluzione tecnologica avanza a ritmi più veloci di sempre, nel 2023, in Italia gli investimenti dedicati a startup e scaleup hanno subito un tracollo: sono passati da 23,7 miliardi di euro dell’anno precedente a 8,2 miliardi di euro.
Le aziende scaleup sono imprese che hanno superato la fase di startup iniziale e stanno attraversando un periodo di rapida crescita in termini di fatturato, numero di dipendenti o espansione del mercato. Queste aziende sono caratterizzate da una capacità consolidata di scalare le loro operazioni in modo sostenibile e spesso diventano attori rilevanti nei loro settori.

Il dato sugli investimenti ha una logica ma preoccupante conseguenza: tra i 109 “unicorni” (società che dal valore di mercato di almeno 1 miliardo di euro non quotate in borsa) nati in Ue nel 2023, solo 3 sono sorte in Italia.

In Italia sono ancora sottodimensionati i TTOs (Technology Transfer Offices), fondamentali per promuovere l’innovazione tecnologica. I Technology Transfer Offices, noti anche come uffici di trasferimento tecnologico, sono entità organizzative che operano all’interno delle università, istituti di ricerca e organizzazioni tecnologiche. Il loro scopo principale è facilitare il trasferimento delle conoscenze e delle tecnologie sviluppate nei laboratori di ricerca verso il mercato, attraverso collaborazioni con l’industria, la commercializzazione e la protezione della proprietà intellettuale.

Carenze Stem in Italia

A proposito di conoscenze e competenze, il Forum Ambrosetti bacchetta il Paese anche su questo aspetto. Le mancanze italiane vanno in due direzioni:

  • carenze quantitative: oltre la metà delle aziende italiane ha difficoltà a reperire risorse con adeguate skill e si stima che l’Italia abbia bisogno di formare oltre 2 milioni di dipendenti con competenze digitali di base entro il 2026 per stare al passo con le esigenze del mercato. Numeri che la crisi demografica rendono ancora più difficili da raggiungere;
  • carenze qualitative: servono meccanismi che riducano il divario tra ricerca e sviluppo per sviluppare progetti che soddisfino i bisogni del mercato.

Sotto il primo profilo, i dati certificano il netto miglioramento del Paese sulla formazione Stem, ma anche un rilevante gender gap.

Il Rapporto Bes 2023 di Istat registra che i giovani che scelgono percorsi di studi nelle materie scientifiche sono 17,8 ogni mille tra i 20 e i 29 anni, rispetto ai 16,5 nel 2020 e i 16,1 nel 2019. La media dei ventisette Paesi Ue, dice che nel 2021 erano circa 4 milioni e 300 mila persone hanno conseguito un diploma di laurea, di cui 459 mila in Italia, con una crescita di 65 mila persone rispetto al 2020. Sono 18,3 giovani (20-20 anni) ogni mille i giovani italiani che conseguono una laurea in discipline Stem contro i 58,1 ogni mille che ottengono un titolo in discipline non Stem.

La differenza di genere è piuttosto marcata, forse anche a causa di un background culturale che vede le donne inadatte alle materie scientifiche. Se ogni mille giovani (20-29 anni) 21 ragazzi conseguono lauree in discipline Stem, questo numero scende a 14,3 ogni mille tra le ragazze.

Un New Deal delle competenze

La scadenza al 2026 pone l’Italia in una situazione di urgenza.
Per questo, il Forum Ambrosetti spiega che il Paese dovrebbe lanciare un New Deal delle competenze, sottolineando l’importanza di definire nuovi programmi per l’insegnamento delle competenze digitali lungo tutto il percorso di formazione, in particolare quelli che permettono agli studenti di lavorare con i dati, essenziali per la specializzazione nelle professioni della Data Economy e con la cavalcata dell’AI.

Proprio sull’intelligenza artificiale, spiega The European House – Ambrosetti, l’Italia può guidarne lo sviluppo di modelli di governance che rispettino i principi di fiducia, sicurezza e trasparenza, sfruttando la presidenza italiana del G7. Proprio nel pomeriggio di oggi, seconda e ultima giornata del summit, i 7 capi di Stato e di governo affronteranno il tema di questa tecnologia che sta stravolgendo i sistemi di produzione. La questione diventa dirimente mentre il 61% degli italiani non è preparato sull’intelligenza artificiale, come evidenzia un sondaggio realizzato da You Trend.

Formazione costante e carenze demografiche

Restare al passo con le novità è un altro punto cruciale per il Paese. Per questo, gli autori invitano l’Italia a potenziare le lauree professionalizzanti anche prevedendo nuovi percorsi di studio con elementi legati alla transizione digitale ed ecologica nelle Università.

Ma intervenire sulle Università non basta. Il report spiega l’importanza di definire meccanismi di aggiornamento continuo delle competenze dei lavoratori (Lifelong Learning), in modo che la produttività non cali. Su questo aspetto, incide pericolosamente la crisi demografica italiana e l’elevata età media dei lavoratori e delle lavoratrici.

Nel primo trimestre del 2024, l’occupazione in Italia è aumentata di 394.000 unità (+1,7%) rispetto allo stesso periodo del 2023, raggiungendo un totale di 23,644 milioni di occupati. Il tasso di occupazione tra le persone di età compresa tra 15 e 64 anni è aumentato, raggiungendo il 61,6% (+0,9 punti).

Nello specifico, la crescita più consistente del tasso di occupazione si è osservata tra gli individui di età compresa tra 50 e 64 anni (+1,4 punti rispetto a +1,1 punti per i 35-49enni e a +0,5 punti per i giovani di 15-34 anni). Questo rende più difficile l’impostazione di un piano di re-skilling duraturo ed efficace sin da subito.

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