“Vai a lavare i piatti”. Sono queste le cinque parole che un “tifoso”della squadra ospite ha rivolto all’arbitro Arianna Quadro, 26 anni, durante Moncalieri Women-Pro Palazzolo, gara di Coppa Italia di Serie C femminile. Una partita ricca di spettacolo e gol (4-3 per le padrone di casa), rovinata dall’insulto urlato dagli spalti al 28’ del primo tempo.
Solo in un secondo momento si si è scoperto che il protagonista era un magazziniere della squadra maschile del Palazzolo.
L’episodio di violenza verbale a sfondo sessista, però, ha avuto anche un risvolto positivo, meno rumoroso ma più diffuso del singolo individuo. Come dimostra il video, infatti, gli altri spettatori hanno immediatamente fischiato il protagonista (o meglio, l’antagonista) della vicenda, gridando “Nooo, nooo” per coprire i suoi insulti. Una voceinvita la direttrice di gara ad ascoltare e prendere nota dell’accaduto. Non soddisfatto, il “tifoso” ha ribadito l’insulto a chiare lettere: “Ascolta, ascolta bene: vai a casa a lavare i piatti”.
La replica dei due club
Il Moncalieri Women ha espresso solidarietà nei confronti di Arianna Quadro, condannando gli insulti sessisti urlati dai suoi spalti. “Episodi come questo sono spiacevoli e vergognosi perché minano l’impegno delle società sportive nel processo di valorizzazione dello sport al femminile. Il linguaggio sessista non può trovare spazio su un campo di calcio, né in qualsiasi altro sport”, si legge nella nota. Il club piemontese ha voluto mettere in rilievo un particolare cruciale da un punto di vista sociale: “Entrambe le tifoserie hanno preso le distanze e hanno redarguito l’interessato; un passo necessario per costruire un ambiente rispettoso, che ogni sport deve garantire”.
La Pro Palazzolo che si è dissociata ufficialmente dal proprio tesserato.
Il cambiamento culturale: il caso Moncalieri come esempio
C’è un dettaglio in questa storia che fa la differenza tra il 2025 e il passato. Appena l’insulto “vai a casa a lavare i piatti” è partito, dagli spalti non sono partite risatine di approvazione, ma fischi di dissenso. Un “no” corale, seguito da inviti a smetterla rivolti direttamente al contestatore, poi identificato come un magazziniere tesserato della squadra ospite.
Questa reazione spontanea del pubblico – sia di casa che ospite – segna un punto di rottura fondamentale. Finora, il sessismo negli stadi è stato spesso tollerato come “sfottò” un rumore di fondo inevitabile, parte del “folklore” calcistico. A Moncalieri, invece, la maggioranza ha scelto di non essere complice. È il segnale che il lavoro culturale sta iniziando a pagare. La ferma condanna arrivata successivamente da entrambi i club conferma che l’asticella della tolleranza si è alzata.
“Vai a lavare i piatti”: il peso di uno stereotipo
Perché “vai a lavare i piatti” è diverso da un insulto generico al direttore di gara?
Questo tipo di frase non esprime solo la frustrazione di un tifoso. Richiama uno stereotipo preciso: la donna come figura relegata alla sfera domestica. Non è un attacco alla competenza tecnica su un fuorigioco o un rigore, ma alla legittimità stessa di essere lì. L’obiettivo dell’insulto è ristabilire una gerarchia sociale percepita come violata: il campo da calcio appartiene agli uomini, la sfera domestica alle donne.
La ricerca sul linguaggio d’odio nello sport mostra che le donne subiscono insulti con un contenuto specificamente di genere, spesso legato al corpo o al ruolo familiare, con una frequenza tripla rispetto ai colleghi uomini. Mentre l’arbitro uomo viene accusato di incapacità, l’arbitra viene contestata per la sua essenza, come ha rilevato la sindaca di Genova Silvia Salis dopo gli insulti ricevuti sui social (per approfondire: La sindaca Salis in aula contro gli insulti sessisti: “A un uomo incapace, a una donna putt***”).
La lotta al linguaggio sessista: a che punto siamo
Nonostante la reazione positiva di Moncalieri, i dati dicono che la strada è ancora lunga. Secondo le ultime rilevazioni dell’Associazione Italiana Arbitri (Aia), sebbene la presenza femminile sia in crescita (si contano oltre 1800 associate), gli episodi di violenza verbale sessista restano una costante nelle categorie minori.
Il “Barometro dell’Odio nello Sport” segnala regolarmente picchi di hate speech online ogni volta che una donna ottiene visibilità in ruoli apicali, che sia un arbitraggio in Serie A o una telecronaca di punta.
L’obiettivo, oggi, non è più solo “proteggere” le donne come categoria debole, ma normalizzare la loro presenza. Campagne come #UnRossoAllaViolenza, promossa da Lega Calcio Serie A e WeWorldOnlus, hanno avuto il merito di accendere i riflettori, ma il passo successivo è strutturale: sanzioni certe per chi discrimina (il Daspo per sessismo è uno strumento ancora sottoutilizzato) ed educazione affettiva nei settori giovanili.
Stadi, tifo e responsabilità: cosa dicono le regole
I regolamenti federali prevedono sanzioni per comportamenti discriminatori, e le società possono essere chiamate a rispondere per responsabilità oggettiva. Nel caso di Moncalieri, la prontezza del club ospite nel prendere le distanze è un esempio di corretta gestione della crisi in ottica Esg (Environmental, Social, Governance).
D’altronde, la sostenibilità sociale di un evento sportivo si misura anche dalla capacità di garantire un ambiente sicuro e dignitoso per tutti, isolando chi usa il biglietto dello stadio come licenza per offendere.
Una partita che continua fuori dal campo
In quella domenica di coppa Italia, dopo l’urlo dagli spalti, la partita è andata avanti.
Arianna Quadro ha continuato ad arbitrare e a correre. Il gioco non si è fermato e il pubblico non si è girato dall’altra parte. Il calcio è uno specchio potente della società: se a Moncalieri lo specchio ha riflesso un’immagine di rifiuto del sessismo, significa che qualcosa sta cambiando davvero.
L’orizzonte è capovolgere la prospettiva, rendendo il genere maschile il protagonista attivo del cambiamento. Già quindici anni fa, Caparezza lo cantava a chiare lettere: “Un vero uomo dovrebbe lavare i piatti”.