Ok alla regolamentazione regionale su affitti brevi e forme salariali minime. A confermarlo sono due nuove sentenze della Corte costituzionale che si è espressa in merito alla legittimità dei poteri regionali su tali materie: due fronti cruciali per la sostenibilità sociale e territoriale in Italia.
I giudici, nello specifico, hanno respinto i ricorsi presentati dal governo, dando il via libera alle norme della Regione Toscana sulla regolamentazione degli affitti brevi e a quelle della Regione Puglia relative alla soglia retributiva minima negli appalti pubblici. In sostanza, la Corte ha rafforzato l’autonomia delle amministrazioni locali nell’affrontare squilibri urbani causati dall’overtourism e per promuovere condizioni lavorative più eque.
La decisione toscana permetterà ai Comuni ad alta densità turistica di intervenire in modo concreto sulle locazioni turistiche, mentre quella pugliese stabilisce di fatto una soglia di nove euro lordi l’ora per i dipendenti assunti come criterio di selezione nei bandi regionali. Entrambi i pronunciamenti confermano la legittimità dell’intervento regionale in queste materie, riconoscendo che Regioni e Comuni sono i soggetti più idonei a tutelare i territori e le persone che ci vivono. Vediamo le sentenze nel dettaglio.
La stretta della Toscana sugli affitti brevi
Con la sentenza numero 186, depositata il 16 dicembre 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità sollevate dalla presidenza del Consiglio dei ministri contro diverse disposizioni della legge della Regione Toscana numero 61 del 2024, il cosiddetto “Testo unico del turismo”. Il governo contestava la legge perché violava la libertà d’impresa e interveniva in materie di competenza esclusiva dello Stato. Ma non per la Corte che, invece, ha stabilito che la legge toscana è legittima poiché la regolamentazione del turismo e la gestione del territorio rientrano nelle competenze regionali. Regioni e Comuni, in altre parole, sono considerati i soggetti giuridici che conoscono meglio il territorio e sono quindi più adatti a intervenire per bilanciare la libertà d’impresa con la tutela degli spazi e delle persone che ci vivono.
Tra gli articoli chiave nella norma c’è il 59 che attribuisce ai Comuni ad alta densità turistica e ai capoluoghi di provincia il potere di individuare, tramite un regolamento, aree specifiche in cui definire criteri e limiti per lo svolgimento delle attività di locazione turistica breve.
Un altro punto ritenuto legittimo riguarda l’obbligo, a partire dal 1° luglio 2026, per le strutture ricettive extra-alberghiere con caratteristiche di civile abitazione, di essere gestite in forma imprenditoriale e di avere una destinazione d’uso turistico-ricettiva, escludendo quella residenziale. La Corte ha ritenuto che limitare il diritto di proprietà in questo modo sia giustificato dal perseguimento di una funzione sociale, relativa alla finalità di limitare la proliferazione di queste strutture e contrastare gli effetti negativi dell’overtourism. La Corte ha precisato che la destinazione di un immobile residenziale a locazione turistica non può essere considerata un elemento essenziale del diritto di proprietà, ma se questa è la destinazione che del proprio immobile volesse farne il proprietario, dovrà essere dichiarata.
I “salari minimi” negli appalti pubblici della Puglia
Ma non solo affitti brevi. La Corte si è pronunciata anche su un tema legato direttamente alla dignità del lavoro: la soglia retributiva minima negli appalti pubblici in Puglia, con la sentenza numero 188, depositata altrettanto il 16 dicembre 2025.
La legge della Regione Puglia (la n. 30 del 2024, poi modificata dalla n. 39 del 2024) stabiliva che la Regione e i suoi enti strumentali dovessero selezionare, negli atti di gara per appalti e concessioni, solo i Contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl) che garantissero una retribuzione minima di nove euro l’ora. La soglia di nove euro lordi l’ora è la stessa proposta nel dibattito nazionale sul salario minimo.
Il governo aveva fatto ricorso, sostenendo quanto sostenuto per il caso degli affitti brevi in Toscana e, cioè, che si fosse verificata una lesione dell’autonomia della contrattazione collettiva e un’invasione nella sfera di competenze dello Stato in materia di ordinamento civile.
La Corte, tuttavia, ha dichiarato le questioni di legittimità costituzionale inammissibili. La ragione è che la disposizione pugliese non introduce un obbligo generalizzato di retribuzione minima per tutti i contratti di lavoro privato, ma limita la sua applicazione esclusivamente alla sfera degli appalti pubblici e delle concessioni affidati dalla Regione e dagli enti strumentali.
Questa limitazione è fondamentale: non si tratta di un “salario minimo” in senso stretto, ma di un criterio di selezione volto a incentivare le imprese che lavorano con la pubblica amministrazione ad aumentare la paga oraria. Questa misura è specificamente pensata per contrastare le società che offrono preventivi bassi nei bandi, risparmiando sulla manodopera.
La decisione della Corte consente quindi alla Puglia, e potenzialmente anche alla Toscana (che ha una legge simile sulla stessa materia), di usare il proprio potere contrattuale negli appalti per promuovere livelli retributivi più dignitosi, intervenendo in un settore dove la politica nazionale non è ancora intervenuta in modo strutturale.