Da un’analisi dei prodotti e degli articoli Shein è emerso che il 32% conteneva sostanze pericolose, come ftalati e Pfas, con concentrazioni superiori a quelle consentite dai limiti della regolamentazione europea. A rilevarlo è un’inchiesta di Greenpeace, secondo la quale il colosso cinese di fast fashion traccia le tendenze in tempo reale, copia design utilizzando l’intelligenza artificiale e spinge la produzione attraverso una fitta rete di fornitori cinesi che lavorano sotto pressione estrema.
Il risultato? Più di 10.000 nuovi design ogni giorno, molti dei quali disponibili solo per poche settimane; prezzi bassi, marketing aggressivo e uso di tattiche coercitive presenti nell’app per creare una frenesia d’acquisto tra i consumatori, principalmente tra i giovani. A questo si aggiunge che le emissioni di gas serra dell’azienda sono quadruplicate negli ultimi tre anni, con l’82% delle fibre utilizzate in poliestere, che derivano dai combustibili fossili. Con 363 milioni di visite mensili, il sito però è il più visitato al mondo, superando Nike, Myntra e H&M messi insieme.
Una denuncia che rivolge poi un appello alle autorità: accelerare su una legge Anti-Fast-Fashion per tutelare ambiente e consumatori.
L’indagine di Greenpeace
La nuova indagine di Greenpeace, ripetuta nel 2025 dopo un test iniziale nel 2022, ha rilevato che Shein continua nella mancanza di rispetto degli standard ambientali e di sostenibilità sociale nella sua catena produttiva. Greenpeace ha acquistato un totale di 56 capi di abbigliamento e scarpe Shein in otto Paesi e li ha fatti analizzare da un laboratorio indipendente e accreditato in Germania.
I risultati sono allarmanti: 18 dei 56 prodotti testati (il 32%) superavano i limiti normativi europei. Queste sostanze pongono rischi significativi per la salute umana: dall’assorbimento cutaneo all’inalazione, fino al contatto orale che può riguardare soprattutto i bambini, così come rischi per l’ambiente, inquinamento dei corsi d’acqua e della catena alimentare. Le sostanze rilevate in concentrazioni superiori ai limiti legali includono:
- Pfas: sostanze chimiche utilizzate per rendere le giacche idrorepellenti, rintracciate in in sette prodotti, tutte giacche per esterni. In alcuni casi, i livelli di Pfas superavano fino a 3.269 volte i limiti di legge Ue. L’esposizione ai Pfas è sospettata di essere cancerogena, di alterare la fertilità, lo sviluppo infantile e il sistema immunitario, oltre a contaminare le acque sotterranee e gli oceani.
- Ftalati: utilizzati come plastificanti, sono stati trovati in 14 prodotti. Le loro concentrazioni eccedevano i limiti in alcuni casi di 100 volte o più, con un massimo di 200 volte il limite consentito. Sono legati a disturbi della crescita, della fertilità e dello sviluppo infantile.
- Metalli pesanti, come piombo e cadmio: dannosi per lo sviluppo cerebrale dei bambini, il piombo è stato rilevato nella soletta di un paio di sandali a un livello 2,67 volte superiore al limite europeo. Il cadmio è stato rilevato nella suola di una scarpa da donna, superando il limite di 100 milligrammi al chilo.
- Formaldeide: noto agente di finissaggio, è stata rilevato in un costume per bambini a una concentrazione 3,5 volte superiore al limite di legge Ue.
Le promesse mancate di Shein
Nonostante Shein avesse promesso miglioramenti nella gestione chimica, l’indagine di Greenpeace mostra che queste misure non stanno producendo effetti misurabili. L’indagine ha identificato un modello preoccupante: gli articoli individuati come non conformi in test precedenti riappaiono in forma quasi identica, contenenti le stesse sostanze pericolose. Data la vasta gamma di prodotti e la base di fornitori estesa, Shein sembra incapace di controllare le sostanze chimiche utilizzate. Inoltre, l’azienda sfrutta una lacuna nella legislazione chimica dell’Ue, in quanto le piattaforme online che spediscono direttamente dai venditori ai consumatori all’interno dell’Ue possono eludere gli obblighi normativi e le verifiche doganali, immettendo sul mercato prodotti non conformi senza affrontare conseguenze legali significative.
Per questi motivi, Greenpeace chiede un urgente intervento politico, in particolare attraverso l’introduzione di una Legge Anti-Fast-Fashion onnicomprensiva a livello globale. Le richieste principali sono:
- Imposizione di un’imposta sulla fast fashion per far pagare ai produttori i danni causati dalla loro produzione eccessiva.
- Divieto di pubblicità sulla fast fashion (anche sui social media).
- Supporto per modelli di business veramente circolari, come la second hand, lo scambio di questi prodotti e la loro riparazione.
Inoltre, si chiede che la legislazione chimica dell’Ue sia applicata a tutti i prodotti venduti all’interno del blocco dei 27 Stati membri, che le piattaforme siano ritenute legalmente responsabili per qualsiasi violazione e che le autorità possano sospenderne la vendita in caso di infrazioni ripetute.