Ora legale permanente, l’Italia rimette mano all’orologio

In Parlamento la proposta di fissare l’orario estivo tutto l’anno: tra risparmi annunciati, città in penombra e un equilibrio sociale ancora da capire
17 Novembre 2025
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Orologio e lancette

A gennaio, quando milioni di persone sono già in coda alle fermate o incastrate nel traffico, molte città italiane restano ancora nel buio. È l’immagine che irrita o affascina a seconda dei punti di vista e che torna al centro del dibattito sull’ora legale permanente, approdato ora in Parlamento con una richiesta di indagine conoscitiva presentata da Sima, Consumerismo No Profit e dal deputato Andrea Barabotti, sostenuta da circa 352 mila firme raccolte nelle ultime settimane. L’ipotesi è semplice solo all’apparenza: tenere per dodici mesi l’orario estivo e smettere di riportare indietro le lancette a fine ottobre. In realtà significa ridisegnare la giornata nazionale, dal primo autobus del mattino alle chiusure dei negozi, passando per turni, traffico, orari scolastici e abitudini che sembravano immutabili.

È una proposta che raccoglie firme e critiche, sostenuta dall’idea di risparmi energetici immediati e osteggiata da chi vede un prezzo troppo alto pagato nelle prime ore di luce. Non è solo questione di preferenze personali: tocca l’ingranaggio quotidiano su cui si muove un Paese intero, e nel quale ogni scelta produce effetti visibili. Chi difende l’ora legale permanente parla di modernità; chi la contesta teme un inverno interminabile, vissuto a fari accesi. La decisione, qualunque sarà, non potrà evitare di incidere nel profondo, perché il tempo sociale non ammette interventi neutri.

La disputa energetica

La spinta che ha riportato il tema sulla scrivania dei parlamentari arriva dalle stime avanzate dai promotori: un risparmio potenziale di circa 720 milioni di kWh e 180 milioni di euro, valori che Sima e Consumerismo indicano come proiezione del possibile beneficio annuale. Non sono dati certificati da Terna, ma scenari elaborati sulla base delle serie storiche dei mesi con l’ora legale.

Dal 2004 al 2025 i mesi di ora legale hanno effettivamente ridotto i consumi elettrici nazionali di oltre 12 miliardi di kWh, per un beneficio di circa 2,3 miliardi di euro (stima cumulata riferita ai mesi in cui l’ora legale è in vigore, secondo i dati Terna). È un argomento potente, specie in un Paese ancora scottato dalle impennate dei prezzi dell’energia.

Quei 12 miliardi di kWh derivano da un contesto preciso: mesi caldi, giornate lunghe, fabbisogno di riscaldamento quasi nullo. Replicare lo stesso schema in pieno inverno è un’altra storia. Lì la rete è sotto pressione già all’alba, quando si accendono termosifoni, scaldabagni, uffici e negozi. Se l’alba naturale slitta, aumenta la necessità di illuminare case e strade proprio durante il picco di domanda. Alcuni tecnici del settore energetico, pur non schierandosi, invitano a non fare conti frettolosi: le simulazioni devono considerare il clima dell’intero Paese, le differenze tra edifici datati e costruzioni efficienti, il peso enorme della fascia mattutina.

Quando l’ora tocca la fisiologia e la strada

Sul piano sanitario la discussione si fa più ruvida. Le società che studiano il sonno e i ritmi circadiani concordano su un punto: il cambio stagionale dell’ora è una pratica superata, che mette in affanno l’organismo, soprattutto in primavera. Ma da questa constatazione non discende affatto un via libera all’ora legale permanente. Gli specialisti sono tra i più severi nel mettere in guardia contro un’alba costantemente ritardata. La ragione è tecnica ma comprensibile: la luce del mattino attiva il ritmo biologico e prepara mente e corpo all’attività. Se l’alba naturale arriva tardi, il corpo si avvia più lentamente, con livelli di attenzione più bassi e una maggiore predisposizione a errori e affaticamento.

Chi sostiene la riforma risponde che il vero problema è il salto improvviso del cambio d’ora, non l’orario estivo in sé. E in parte ha ragione: gli studi sugli incidenti stradali e i picchi di malesseri cardiovascolari riguardano proprio la settimana successiva allo spostamento delle lancette. Ma la questione non si esaurisce lì. Se Milano vede l’alba dopo le 9, e Torino pochi minuti dopo, milioni di persone percorrono strade, attraversamenti e nodi di interscambio in condizioni di visibilità ridotta, mentre la città è già in piena attività. Le scuole aprono quando fuori sembra notte, i mezzi pubblici si muovono in un contesto più rischioso, e la percezione di sicurezza cambia.

Sul fronte opposto, i sostenitori dell’ora legale ricordano che più luce la sera favorisce socialità, attività sportive e commercio, e può persino ridurre alcune tipologie di reati. Tutto vero. Resta il fatto che nessuna scelta elimina i contro: si sposta il peso da una fascia del giorno all’altra. È proprio questo a rendere la questione così divisiva: non esiste un orario “innocuo”. Ogni opzione modella il corpo e la strada in modo diverso.

Città, orari e vite reali sotto un nuovo cielo

Le esperienze estere aiutano a contestualizzare, ma è nell’Italia quotidiana che si misura davvero la portata della riforma. A Milano, con l’ora legale fissa, l’alba di gennaio arriverebbe attorno alle 9.05; a Roma circa alle 8.45; a Palermo verso le 8.20. Le sere estive si allungherebbero ben oltre le 21.30 in molte città del Centro-Nord. Questi orari non sono un esercizio teorico: sono l’ossatura della vita collettiva. Nelle regioni settentrionali, dove molte attività iniziano prima delle 8, lo slittamento della luce cambierebbe radicalmente la percezione delle mattine. Uscire di casa con il buio non è un dramma, ma farlo per mesi può diventare pesante, specie per studenti, pendolari, lavoratori dei servizi e addetti alla logistica. Le scuole dovrebbero valutare misure di mitigazione, i comuni rivedere illuminazione e sicurezza agli ingressi, il trasporto pubblico ripensare controlli e presidi. Anche nel settore privato la questione non è marginale: le imprese che operano su turni anticipati dovrebbero affrontare costi aggiuntivi legati a sicurezza e logistica.

Dall’altra parte, città con forte vocazione turistica o con centri storici ad alta frequentazione vivrebbero un nuovo ciclo serale, con più movimento e maggiore sfruttamento delle ore all’aperto. È una riorganizzazione profonda, che premia alcuni territori e ne appesantisce altri. Non è detto che il bilancio complessivo sia negativo o positivo; è certo, però, che non sarà uniforme. Il Parlamento dovrà decidere se questo spostamento di equilibrio rispecchia un interesse generale, sapendo che tocca attività economiche, abitudini familiari e ritmi sociali in modo tutt’altro che marginale. La richiesta d’indagine nasce esattamente da questa consapevolezza: serve capire come reagisce un Paese quando cambiano le sue prime e le sue ultime ore di luce.

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