Arrivano con un visto, un contratto promesso e la certezza di aver seguito la strada giusta. Dopo mesi, molti si ritrovano in un capannone o in un dormitorio di fortuna, senza salario e senza documenti aggiornati. Il percorso che avrebbe dovuto garantire regolarità si sta trasformando in un meccanismo che produce vulnerabilità. Nel Dossier Statistico Immigrazione 2025 e nella Relazione del Numero verde Antitratta, Idos (Immigrazione Dossier Statistico) descrive lo sfruttamento che ruota attorno ai decreti flussi come una delle principali vie contemporanee della tratta di esseri umani. Il rapporto mette a fuoco un meccanismo ormai rodato: gli ingressi autorizzati attraverso i decreti flussi, nati per regolare la domanda di manodopera straniera, vengono sempre più spesso utilizzati da intermediari che offrono, a pagamento, l’illusione di un impiego in Italia.
Si occupano di tutto – compilare la domanda, reperire il datore fittizio, ottenere il nullaosta e il visto – per poi scomparire. Quando il lavoratore arriva, non trova né l’azienda né il posto di lavoro promesso. Il permesso diventa carta inutile e l’unica prospettiva è accettare qualsiasi offerta per sopravvivere, anche in condizioni di sfruttamento.
Secondo la Relazione del Numero verde, nel solo secondo semestre del 2024 sono stati segnalati 139 casi di truffe legate ai decreti flussi. Le vittime provenivano soprattutto da Tunisia, Marocco, India ed Egitto. È la punta dell’iceberg di un sistema che, tra attese infinite e burocrazia opaca, lascia spazio a chi sa muoversi nei vuoti della procedura. E in quei vuoti, lo sfruttamento prospera.
I numeri del decreto flussi e la promessa mancata
Il decreto flussi triennale 2026-2028, approvato dal Consiglio dei ministri il 30 giugno 2025, autorizza l’ingresso di 497.550 lavoratori stranieri. Il decreto scandisce con esattezza numeri e categorie: 164.850 per il 2026, 165.850 per il 2027 e 166.850 per il 2028. All’interno, 230.550 posti sono destinati a lavoro non stagionale e autonomo, 267.000 a lavoro stagionale in agricoltura e turismo. Un sotto-canale riguarda l’assistenza familiare: 13.600 ingressi nel 2026, 14.000 nel 2027 e 14.200 nel 2028.
L’obiettivo dichiarato è colmare la carenza di manodopera in comparti chiave.
Ma la macchina che dovrebbe far entrare regolarmente lavoratori in regola si inceppa già alle prime battute. Nel biennio 2023-2024 le domande presentate erano state oltre 1,3 milioni, cinque volte le quote disponibili. Dei 247 mila nullaosta assegnati, meno di 26 mila si sono tradotti in un permesso di soggiorno: un tasso di successo sotto il 10%. Tra click day che si esauriscono in pochi secondi, ritardi nei consolati, datori irreperibili e pratiche bloccate, il meccanismo appare più simile a una lotteria che a un sistema di programmazione del lavoro.
La carenza di controlli sulla filiera produttiva aggrava il quadro. In agricoltura, nel turismo e nei servizi domestici i lavoratori entrati con il decreto flussi restano esposti a subappalti e intermediazioni informali.
Truffe, tratta e lavoro forzato: come si piega la legge
Nel 2024, secondo il Dossier Idos, le prese in carico del Numero verde Antitratta per sfruttamento sessuale sono scese dal 50% al 24% del totale, mentre quelle per sfruttamento lavorativo sono salite al 38,2%. In undici anni le vittime donne e minori sono diminuite, mentre sono raddoppiati gli uomini adulti coinvolti. L’Italia, dove il sistema di protezione per le vittime di tratta è tra i più avanzati d’Europa grazie all’articolo 18 del Testo unico sull’immigrazione, si trova oggi di fronte a uno scenario inedito: la tratta non passa più dalle reti della prostituzione ma dai corridoi della burocrazia.
I nuovi trafficanti si presentano come “consulenti”, agenzie, intermediari. Offrono pacchetti completi, dai documenti alla logistica, in cambio di migliaia di euro. Alcuni hanno sede nei Paesi d’origine, altri agiscono direttamente in Italia sfruttando canali digitali e contatti con presunti datori di lavoro. Quando le pratiche vanno a buon fine, il lavoratore ottiene un visto perfettamente regolare. Ma appena atterra, il contratto si dissolve. Senza una rete di accoglienza reale o un piano di impiego verificato, la persona cade in una zona grigia che apre la strada al caporalato.
Il fenomeno non è più marginale. L’uso distorto dei decreti flussi viene indicato da Idos come uno dei fattori che alimentano la nuova tratta a fini lavorativi. Un cortocircuito che trasforma uno strumento di legalità in una leva per l’illegalità, mentre le denunce restano basse per paura di perdere il permesso di soggiorno o di non poter rientrare nei canali ufficiali.
Burocrazia, lavoro povero e caporalato
Il problema non finisce con il rilascio del visto. Anzi, spesso inizia lì. L’agricoltura italiana impiega quasi il 20% di lavoratori stranieri, per lo più stagionali, con contratti a termine che raramente superano le cinquanta giornate annue. Nelle aree a forte vocazione agricola – dal Foggiano alla Piana di Gioia Tauro, dal Veneto orientale al Metapontino – il caporalato resta la regola di fatto. Il Piano triennale contro lo sfruttamento e i 200 milioni destinati dal PNRR al superamento dei ghetti agricoli faticano a produrre effetti visibili: gli insediamenti informali continuano, gli alloggi per i braccianti scarseggiano, i trasporti restano affidati ai caporali.
La vulnerabilità economica si somma a quella giuridica. Chi perde l’impiego entro pochi mesi rischia di scivolare nell’irregolarità, perché il permesso per “attesa occupazione” è concesso solo in un terzo dei casi. Senza un contratto stabile o un domicilio registrato, l’accesso a sanità, scuola e welfare diventa un percorso a ostacoli. Gli ispettorati del lavoro, intanto, sono sotto organico: nel 2024 le ispezioni nei campi sono state meno di 5 mila, a fronte di centinaia di migliaia di aziende agricole.
La distanza tra la norma e la realtà resta abissale. Il decreto flussi avrebbe dovuto legare i bisogni produttivi alla tutela dei diritti, ma finora ha moltiplicato i canali d’ingresso senza costruire ponti solidi di integrazione. Nelle parole di Luca Di Sciullo, presidente di Idos, “il problema non è solo quante persone entrano, ma come e dove finiscono a lavorare”.