I deepfake inquinano mente e ambiente: l’allarme degli esperti

L'allarme da Oxford: "Per funzionare consumano molta acqua e elettricità"
30 Ottobre 2025
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Mani Telefono Social Canva

Video super realistici, realizzati con l’intelligenza artificiale, sono ormai su ogni piattaforma social. Siamo invasi da questi contenuti che sembrano così verosimili, ma che nascondono l’alto potenziale di trarre in inganno l’utente. A prima vista, sembrano essere banali video creati per intrattenere, ma in molti casi, hanno scopi diversi. Sono i deepfake e sono il nuovo pericolo per democrazia e informazione.

Dalla disinformazione alla propaganda politica, passando all’uso di volti noti per veicolare messaggi che non hanno mai pronunciato o per far tornare in vita note celebrità del passato, oltre a manipolare e confondere l’opinione pubblica, celano anche un problema peggiore, ma spesso meno tangibile: l’impatto ambientale per produrli.

Deepfake e data center

A lanciare l’allarme sull’inquinamento dei cosiddetti deepfake è stato il dottor Kevin Grecksch della Oxford University, il quale ha spiegato che c’è “un impatto nascosto piuttosto grande sull’ambiente” perché “da qualche parte questi video devono essere prodotti, e in genere non è sul telefono”. “Succede in un data center che potrebbe trovarsi in qualsiasi parte del mondo, o magari proprio dietro l’angolo”, ha aggiunto.

Un data center è la struttura fisica che ospita le apparecchiature di rete per archiviare, elaborare e distribuire dati e applicazioni. È una componente fondamentale dell’infrastruttura informatica, perché supporta le operazioni quotidiane di un’azienda, fornendo la potenza di calcolo e la connettività necessarie per offrire dei servizi.

Per funzionare, però, “consumano molta elettricità e, in secondo luogo, molta acqua“. I data center utilizzano grandi quantità di acqua dolce per raffreddare i server su scala industriale. Con la diffusione di massa dei deepfake, della loro creazione e distribuzione, grazie all’esistenza di app che sono in grado di fornire all’utente l’esperienza di produrli in poco tempo, il problema è diventato sempre maggiore.

A dimostrazione della diffusione del fenomeno, basti pensare che all’inizio di questo mese, l’app Sora di OpenAi è stata scaricata più di un milione di volte in meno di cinque giorni, occupando la cima delle classifiche dell’App Store di Apple negli Stati Uniti.

Il professor Grecksch, perciò, ha avvertito che le persone dovrebbero essere “informate e consapevoli” dell’impatto ambientale che queste piattaforme nascondono: “C’è molta acqua in gioco – spiega il professore riferendosi alle scarse risorse idriche che il cambiamento climatico continua a consumare – e penso che dovremmo solo pensare a come la utilizziamo e con quale frequenza”.

Ambiente e disinformazione

Come se non bastasse, questi video hanno anche il doppio potenziale di inquinare due volte: prima, con un impatto reale e concreto sull’ambiente e, dopo, anche sulle politiche ambientali e sull’informazione riguardante la sostenibilità ambientale. Ad evidenziare la disinformazione scientifica che i deepfake producono è lo studio “Mitigating the harms of manipulated media: Confronting deepfakes and digital deception” di Hany Farid, della School of Information dell’University of California, che discute sui danni causati dalla sulla salute globale e su quella del nostro pianeta, arrivando al punto di chiedere alle istituzioni di prendere provvedimenti.

Nello specifico, lo studio evidenzia come il discorso sul cambiamento climatico sia vulnerabile alla disinformazione:

  • Viene riportato che il 22% degli americani non crede nel cambiamento climatico e solo il 54% crede che il cambiamento climatico sia causato dall’uomo.
  • Viene anche specificato che la comprensione del cambiamento climatico è altamente partigiana, con il 93% dei Democratici e solo il 62% dei Repubblicani che credono nel cambiamento climatico.

L’autore conclude che è probabile che i deepfake fungano da accelerante per le campagne di disinformazione che prendono di mira la salute globale, il clima e le istituzioni democratiche. Così, mentre inquinano l’ambiente, inquinano anche la percezione che si ha dell’ambiente stesso e degli sforzi che governi di tutto il mondo impiegano per tutelarlo.

Leggi e norme a tutela

I deepfake, però, non si producono da soli, ma a crearli siamo noi esseri umani. Per questi motivi, la comunità scientifica e gran parte di quella civile, chiede una maggiore regolamentazione sul tema.

L’Ai Act e gli obblighi di trasparenza

A livello comunitario, è l’Ai Act ad aver definito cosa siano i deepfake e a concentrare il fulcro della normativa comunitaria sull’obbligo di trasparenza: i deployer (utilizzatori nell’ambito di un’attività professionale) che generano deepfake devono rendere noto in modo “chiaro e distinto” che il contenuto è stato generato o manipolato artificialmente.

Obblighi simili ricadono sui fornitori di sistemi di Ai per finalità generali che devono garantire che l’output sia marcato e rilevabile digitalmente. Tuttavia, sono previste ampie eccezioni a tale obbligo, in particolare per i contenuti usati in spettacoli artistici, satira, opere fittizie o per scopi di prevenzione dei reati da parte delle forze dell’ordine. Il deepfake di per sé non è classificato come tecnica ad alto rischio e questo rappresenta un limite.

La legge italiana e il nuovo reato specifico

La nuova legge italiana sull’Ai affronta la diffusione illecita dei deepfake introducendo significative modifiche al Codice penale. Oltre all’applicabilità del reato generico di sostituzione di persona (art. 494 c.p.), è stata introdotta una circostanza aggravante comune (art. 61, comma 1, n. 11-decies c.p.) per i reati commessi tramite sistemi di intelligenza artificiale.

La novità più rilevante è il nuovo reato specifico (art. 612-quater c.p.) che punisce con la reclusione da 1 a 5 anni chiunque causi un danno ingiusto diffondendo, senza il consenso della persona, immagini, video o voci falsificati o alterati mediante l’Ai, se questi sono idonei a trarre in inganno sulla loro genuinità.

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