“Oggi il Parlamento europeo sta inviando un chiaro segnale a milioni di giovani europei: i tirocini devono offrire diritti reali, una retribuzione equa e condizioni di lavoro dignitose. Il Parlamento è ora pronto a lavorare a stretto contatto con il Consiglio su un accordo degno dei giovani europei”. La dichiarazione della relatrice Alicia Homs Ginel (S&D, ES) fotografa lo snodo. Con il mandato della plenaria e la posizione negoziale del Consiglio già adottata, il dossier entra nella fase in cui le regole si scrivono riga per riga. L’obiettivo è chiudere l’area grigia che ha permesso a troppi “tirocini” di somigliare a un impiego in tutto, tranne che nelle tutele: contratto scritto, durata definita, paga conforme alle leggi nazionali e protezione sociale non come opzionali, ma come standard minimi. La premessa è semplice: se mancano retribuzione ove dovuta, contenuto formativo e tutoraggio/valutazione, non è un tirocinio, è lavoro. E il lavoro va trattato come tale.
Lo stage entra in un perimetro verificabile
Il cuore della posizione parlamentare sta nella trasformazione dello stage da esperienza “interpretativa” a rapporto formalizzato con elementi misurabili.
- Primo snodo: il contratto scritto. Non un foglio di cortesia, ma un accordo che deve specificare retribuzione, task previsti, obiettivi di apprendimento, diritti e obblighi e durata. È la base che consente al tirocinante di capire cosa sta firmando e alle autorità di capire cosa stanno controllando. Senza contratto, non c’è tirocinio: un’affermazione semplice che sposta l’onere della prova sull’organizzazione ospitante, riducendo l’elasticità semantica con cui molti “stage” sono stati usati per coprire turni e mansioni ordinarie.
- Secondo snodo: il tempo. Il mandato prevede tirocini a durata limitata con un tetto ordinario di sei mesi, proroghe ammesse solo se debitamente giustificate. Il principio è industriale prima che giuridico: la formazione iniziale ha un ciclo, oltre il quale si entra nella stabilità del lavoro. Stabilire un limite serve a impedire rotazioni infinite sulla stessa postazione o una sequenza di contratti che, in sostanza, sostituisce una posizione junior.
- Terzo snodo: tutele e soldi. La retribuzione non è fissata a livello Ue: resta ancorata alle leggi nazionali. Ma il Parlamento chiarisce che, dove la legge prevede pagamento, quel pagamento deve esserci e non può essere bypassato con etichette. Accanto alla paga, le tutele sociali: assicurazione sanitaria come livello minimo, e — quando i sistemi nazionali lo consentono — indennità di disoccupazione e contribuzione pensionistica. È un punto spesso invisibile nella discussione pubblica e pesantissimo nella vita reale: se all’inizio della carriera si accumulano mesi “vuoti” dal punto di vista contributivo, il conto arriva dopo, tra pensione e ammortizzatori.
La cornice vale per tutti i tirocini tranne due: quelli obbligatori inseriti nei percorsi di studio per il rilascio di crediti accademici e gli apprendistati, che hanno disciplina autonoma. La distinzione ha una logica precisa: gli stage curriculari sono didattica e valutazione dentro il sistema universitario; gli extracurricolari sono transizione al lavoro e, quindi, richiedono regole minime comuni. In mezzo, l’accento su ciò che deve restare entry-level: compiti coerenti con un ingresso, non la copia carbone della job description di un assunto junior.
Abusi e lavoro camuffato
Il mandato non si limita a principi generici: definisce che cosa è abuso e come intercettarlo. È pratica abusiva ogni esperienza non pagata in conformità alla legge nazionale, senza componente formativa, priva di tutoraggio o di valutazione. In assenza di questi tre pilastri, l’etichetta “tirocinio” non regge. Accanto alla linea rossa, il Parlamento individua campanelli d’allarme che spesso fanno da spia: sequenze di tirocini multipli o consecutivi presso lo stesso datore, vacancy inesistenti o opache, uso sistematico di stagisti su mansioni stabili. Sono indizi che, presi insieme, raccontano un modello: si coprono postazioni con rotazioni di ingresso al posto di assumere.
Per trasformare i principi in controlli effettivi, scatta la trasparenza verso le autorità nazionali: su richiesta, le aziende devono condividere dati su numero e durata dei tirocini, condizioni applicate, modalità di tutoraggio. È il passaggio che consente di passare dal sospetto alla prova documentale. Anche dentro le organizzazioni cambia l’architettura: serve una figura di riferimento a cui il tirocinante possa rivolgersi per consulenza e supporto in caso di irregolarità; sul lato pubblico, gli Stati devono attivare canali di segnalazione anonimi e sicuri per denunciare condizioni scadenti o contratti non conformi. L’idea è ridurre il costo del coraggio e alzare il costo dell’elusione: chi scrive “formazione” sulla carta dovrà dimostrarla con piani, affiancamento e valutazioni tracciate.
Il perimetro operativo per università, imprese e ispettori
Stabilire chi è dentro e chi è fuori evita sovrapposizioni e rende applicabili i controlli. Le nuove regole abbracciano i tirocini extracurricolari e lasciano fuori i curricolari obbligatori per crediti e gli apprendistati. Il motivo è duplice. Sul versante accademico, gli stage in corso di studi servono a fare didattica e vengono valutati con strumenti propri; qui l’intervento europeo rischierebbe di aggiungere strati normativi senza vantaggio. Sul versante del mercato, invece, l’area extracurricolare è dove si gioca davvero la transizione: è qui che servono paletti uniformi su contratto, durata, mentorship e valutazione finale, e dove le tutele sociali vanno rese esigibili.
Per le università, la distinzione disegna un confine pratico con il mondo del lavoro e facilita l’interfaccia con le imprese. Per le aziende corrette, significa certezza del diritto e processi HR più chiari; per chi usa lo stage come valvola di risparmio, il margine di ambiguità si restringe. Per gli ispettorati, vuol dire criteri omogenei per leggere i casi: se la descrizione delle mansioni è indistinguibile da quella di un junior full time, si attiva la riqualificazione.
C’è anche un risvolto competitivo: con standard minimi comuni, diventa più difficile comprimere il costo del lavoro d’ingresso come leva concorrenziale; la partita si sposta su qualità della formazione, tasso di assunzione post-stage, coerenza tra obiettivi dichiarati e compiti effettivi. È il modo più rapido per separare i percorsi che avviano dai percorsi che consumano.