Pfas ancora al centro del dibattito. Il Tfa, acido trifluoroacetico, è stato appena inserito dall’Unione europea nei piani di monitoraggio delle risorse idriche, con l’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) che a inizio 2026 dovrà definire il nuovo livello di assunzione giornaliera tollerabile. Ma la ong PAN Europe denuncia un’azione dell’industria chimica per ottenere soglie (parecchio) più alte.
Andiamo con ordine: il Tfa fa parte dell’ampia famiglia dei Pfas, o sostanze per- e polifluoroalchiliche, che hanno la particolarità di essere invasive ed estremamente persistenti. Tanto da essere definite ‘forever chemical’, inquinanti eterni. Si trovano ovunque: nell’ambiente, nelle acque, comprese le falde, negli alimenti e anche nel nostro stesso corpo. Le fonti di contaminazione da acido trifluoroacetico sono diverse: dalle 32 sostanze attive di pesticidi fluorurati autorizzate in Ue ai prodotti industriali e farmaceutici.
Gli studi confermano la dannosità dei Pfas, e dunque anche del Tfa, per la salute umana, con conseguenze come tumori, disturbi ormonali e immunitari, problemi alla tiroide, al fegato e ai reni, oltre a danni al sistema riproduttivo e a quello endocrino. La bonifica di questi composti, inoltre, è complessa e costosissima, di conseguenza più ne produciamo più l’operazione diventa titanica.
Tuttavia, la decisione sul limite giornaliero ammissibile non è semplice. La ong Pesticide Action Network Europe il 29 settembre ha pubblicato un rapporto dal titolo ‘Manufacturing Doubt: how industry downplays TFA’s toxicity’, in cui afferma che l’industria chimica stia minimizzando gli effetti tossici del Tfa in modo da ‘spingere’ per una soglia più alta.
La soglia proposta dall’Efsa e quella che vorrebbe l’industria
Le aziende agrochimiche, riunite nella Tfa Task Force (tra esse nomi come Bayer, BASF, Corteva, Syngenta), conducono infatti degli studi, su richiesta delle autorità sanitarie europee, fin dal 2021.
Questi studi, condotti su animali, evidenziano malformazioni oculari, scheletriche e cardiache a dosaggi variabili, con alterazioni biochimiche anche a livelli più bassi, sugli esemplari esposti al Tfa. Secondo PAN Europe, gli effetti negativi sono riscontrabili a tutte le dosi, non consentendo di individuare un livello di esposizione privo di rischio. Al contrario, le industrie sostengono che alcuni effetti siano legati esclusivamente alle specie animali testate e che dosi intermedie non producano danni.
Parallelamente, nota la ong, la proposta europea di restrizione universale dei Pfas è stata ridimensionata, introducendo numerose esenzioni settoriali. Questo compromesso, spiega, rischia di indebolire l’efficacia della regolazione.
Per avere un’idea della situazione, l’Efsa ha proposto un TDI di 0,03 mg/kg peso corporeo al giorno, ricavato da un livello senza effetto di 8,65 mg/kg. Mentre, secondo PAN Europe, il consorzio industriale ha raccomandato un valore di 294 μg/l, oltretutto tendendo in considerazione solo i soggetti adulti e ignorando i vulnerabili.
Intanto oggi la Commissione ha adottato nuove misure che limitano l’uso di Pfas nelle schiume antincendio, una delle principali fonti di inquinamento nell’Unione. “Senza questa restrizione – commenta l’esecutivo in una nota -, circa 470 tonnellate di questo tipo di sostanze chimiche continuerebbero ad essere emesse nell’ambiente ogni anno, contaminando il suolo e l’acqua”.
Cosa chiedono le ong
PAN Europe nel rapporto indica in che direzione occorrerebbe procedere:
• applicare il principio di precauzione, tutelando in particolare neonati e bambini;
• garantire valutazioni indipendenti;
• stabilire limiti protettivi nell’acqua potabile, in un range di 2,2–15,6 μg/l;
• avviare l’eliminazione graduale dei pesticidi Pfas, che degradano in Tfa.
Ma l’unico modo per affrontare la crisi dei Pfas, avvertono scienziati e associazioni, è chiudere il rubinetto. Senza un divieto totale e universale, la contaminazione continuerà a crescere, con rischi potenzialmente irreversibili.