Robert Redford: l’icona di Hollywood che criticò le politiche di Trump

Prima di essere una star, Redford è stato un visionario nel campo della sostenibilità sociale e ambientale
17 Settembre 2025
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Robert Redford in "Tutti gli uomini del presidente" (Afp)

La morte di Robert Redford chiude una stagione irripetibile dell’attivismo ambientale hollywoodiano. Prima ancora di essere una star, Redford è stato un cittadino attivo, che non ha risparmiato critiche al presidente americano Donald Trump sin dal suo primo mandato.

Molto prima che le aziende scoprissero l’acronimo Esg, l’icona di Hollywood aveva trasformato il suo ranch di Sundance nello Utah in un laboratorio di sostenibilità, anticipando di decenni le pratiche diffuse oggi.

Quando nel 1969 acquistò cinquemila acri di territorio montano ai piedi del Monte Timpanogos, Redford non stava solo investendo nel mattone: stava creando un modello di conservazione attiva che avrebbe influenzato generazioni di imprenditori consapevoli. Il Sundance Mountain Resort divenne il primo esempio di turismo sostenibile integrato con la produzione culturale, la dimostrazione concreta che profitto e protezione ambientale potevano coesistere.

L’imprenditore verde prima dell’era green

Il modello Sundance nasceva da una visione che oggi chiameremmo “tripla linea di risultato” (o “Triple Bottom Line”):

  • profitto economico,
  • impatto sociale attraverso il cinema indipendente,
  • tutela ambientale del territorio.

In tempi non sospetti, Redford impose standard edilizi rigorosi, l’utilizzo di energie rinnovabili e programmi di conservazione della fauna locale che anticiparono di trent’anni le certificazioni Leed e gli standard ambientali oggi obbligatori per i resort di lusso.

La produzione cinematografica stessa seguiva pratiche sostenibili: set a basse emissioni, catering locale, trasporti condivisi, riduzione degli sprechi. Quello che oggi l’industria dell’audiovisivo chiama “green production” — con le linee guida Albert/Bafta e i protocolli Creative Europe — era già realtà quotidiana nei progetti targati Sundance Institute.

Nel 1981, quando fondò l’istituto per sostenere il cinema indipendente, Redford integrò i criteri ambientali nei processi di selezione: non bastava raccontare storie innovative, bisognava produrle con responsabilità. Una filosofia che precorse di vent’anni i fondi di impact investing e i criteri Esg che oggi guidano gli investimenti nel settore culturale.

L’attivismo di Redford non si limitava alla gestione del ranch. Negli anni ‘70 e ‘80 guidò campagne per proteggere aree wilderness dell’Ovest americano, opponendosi a progetti estrattivi e di sviluppo speculativo. La sua battaglia contro l’espansione dell’industria petrolifera nello Utah divenne un caso-studio di come l’impegno delle celebrità possa influenzare le policy pubbliche.

Redford contro le politiche di Trump

Redford ha condiviso tante delle battaglie promosse dalla Natural resources defense council (Nrdc) –una delle associazioni ambientaliste più grandi del nord America. Nel 2017, quando iniziò la prima amministrazione Trump, l’icona di Hollywood fu testimonial di una petizione contro l’agenda climatica del tycoon: “Il ritiro dall’Accordo sul clima di Parigi … l’affondamento del Clean Power Plan del presidente Obama … l’aumento della trivellazione di petrolio e gas nelle nostre terre pubbliche e nelle acque offshore … l’aver riempito il suo gabinetto presidenziale con scettici del cambiamento ed uomini dell’oil & gas molto inquietanti … la disastrosa agenda di Donald Trump dovrebbero far scattare campanelli d’allarme per chiunque abbia a cuore il futuro del nostro pianeta”, disse.

L’organizzazione sviluppò metodologie per calcolare l’impronta ecologica dei progetti industriali e propose alternative sostenibili che influenzarono la legislazione federale americana. Redford fu a lungo sostenitore della Natural Resources Defense Council. Per questo dal 2003, la sede californiana della Nrdc (al 1314 di Second Street, Santa Monica) porta il suo nome.

La sua contrarietà all’utilizzo del carbone e il sostegno alle energie rinnovabili negli anni ‘90 anticiparono i movimenti di disinvestimento dai combustibili fossili che oggi guidano i fondi pensioni, gli investitori istituzionali e le normative europee (tra molte difficoltà). Redford utilizzava il suo status per convincere colleghi e produttori a spostare i capitali verso tecnologie pulite, creando una delle prime reti informali di “finanza responsabile” dell’entertainment.

Misurare l’impatto: lezioni per l’Esg contemporaneo

Il Sundance Institute rappresenta un esempio pionieristico di come misurare l’impatto culturale e sociale degli investimenti. Dal 1981 a oggi, l’organizzazione ha sostenuto oltre cinquecento registi esordienti, generando un indotto economico stimato in 2,3 miliardi di dollari e creando quindicimila posti di lavoro nell’industria indipendente.

I criteri sviluppati da Redford anticipavano le metriche oggi standardizzate dagli investitori Esg:

  • parità di genere nei team creativi (il 40% dei progetti sostenuti è diretto da donne),
  • rappresentazione di minoranze etniche,
  • impatto sociale delle narrazioni prodotte.


Dati che l’industria ha iniziato a tracciare sistematicamente solo di recente.

Il modello economico ibrido — fondazione no-profit, festival commerciale, resort sostenibile — dimostrò la fattibilità di quello che oggi chiamiamo “blended finance”: strumenti finanziari che combinano obiettivi di profitto con impatti sociali e ambientali misurabili. Una formula che ispira oggi i fondi di impact investing nel settore culturale europeo e americano.

L’eredità digitale

L’ultima sfida di Redford riguardava la digitalizzazione dell’industria cinematografica.

Nel 2018 lanciò un programma per calcolare l’impronta di carbonio dei contenuti streaming, anticipando un tema centrale per le piattaforme digitali: Netflix, Amazon Prime e Disney+ stanno investendo miliardi in tecnologie per ridurre le emissioni legate al consumo di video online.

Il Sundance Digital Initiative sviluppò algoritmi per ottimizzare la compressione video riducendo il consumo energetico dei server, collaborò con startup cleantech per alimentare i data center con energie rinnovabili, e creò standard per produzioni “carbon neutral” che oggi vengono adottate dalle più importanti case di produzione.

Redford intuì che la vera rivoluzione green dell’entertainment non sarebbe arrivata dai set, ma dai bit: ogni ora di streaming consuma energia quanto un frigorifero acceso per tre giorni. La sua ultima battaglia riguardava la trasparenza delle piattaforme sui consumi energetici, tema che ha anticipato le normative europee sulla digitalizzazione sostenibile.

Dal ranch alle corporate: l’eredità di Robert Redford

La morte di Redford lascia in eredità un metodo che l’industria contemporanea sta riscoprendo: l’integrazione tra profitto, impatto sociale e tutela ambientale non come vincolo imposto dall’esterno, ma come driver di innovazione. Il modello Sundance dimostrò che i consumatori premiano le aziende autenticamente sostenibili, che i talenti migliori scelgono organizzazioni con valori chiari, che gli investitori pazienti generano ritorni superiori nel lungo periodo.

Inoltre, “Tutti gli uomini del presidente”, film cult in cui ha interpretato il giornalista Bob investigativo Bob Woodward, ha rappresentato un modello per la futura legislazione europea in materia di informazione.

Per approfondire: Addio a Robert Redford: da Watergate alle norme Ue sui media

Le aziende che oggi adottano strategie Esg possono imparare dalla coerenza di Redford: non basta comunicare sostenibilità, bisogna integrarla nei processi produttivi, nei criteri di selezione, negli obiettivi di performance. La differenza tra greenwashing e green impact sta nella capacità di misurare, documentare e migliorare continuamente le proprie pratiche.

L’attore che incarnò il sogno americano degli anni ‘70 lascia una lezione per l’economia globale dei nostri giorni: la sostenibilità non è un costo, è un vantaggio competitivo. E, soprattutto, è un “dovere nei confronti delle nuove generazioni”, che si trovano a subire i danni creati da quelle precedenti.

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