Europee 2024, crollano i Verdi e avanza la destra: è la fine del Green Deal?

Da pilastro nel discorso di Ursula del 2019 a grande assente nella notte elettorale
11 Giugno 2024
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Green Deal e sede del Parlamento Ue
Sede del Parlamento Ue

Nelle elezioni europee 2024, i Verdi perdono, i popolari aumentano e le destre avanzano: questo scenario mette a rischio il Green Deal? Solo in parte, vediamo perché.

Un primo indizio non positivo per chi punta sulla transizione energetica arriva dalle parole di von der Leyen. O meglio, da quello che non ha detto dal palco dell’Europarlamento durante la notte elettorale.

Solo cinque anni fa, parlando alla plenaria di Strasburgo, la presidente della Commissione Ue presentò il Green Deal come elemento “fondamentale per la salute del pianeta, dei cittadini e per la nostra economia” e “nuova strategia di crescita” che “ci aiuterà a ridurre le emissioni e a creare posti di lavoro”.

Nella domenica delle ultime elezioni, invece, non l’ha neppure nominato. Perché?

Green Deal, la politica prima delle politiche

Questa volta la risposta arriva da ciò che la presidente ha detto.
Nella notte elettorale von der Leyen ha subito chiarito che la sua priorità sarà respingere l’avanzata degli estremisti: “È vero che gli estremi a destra e sinistra si sono rafforzati, ma il centro sta reggendo e abbiamo tutti un interesse per un’Europa stabile e forte”, ha detto la presidente dell’esecutivo prima di aggiungere: “prenderemo contatti con S&D e Renew Europe, abbiamo lavorato bene insieme negli ultimi cinque anni e costruiremo una relazione di fiducia”.

Insomma, prima di parlare di politiche, bisogna preoccuparsi della politica, intesa come equilibri e coalizioni. E qui si arriva al non detto: von der Leyen ha bisogno di allargare il campo dei suoi sostenitori per essere sicura della riconferma. Infatti, nonostante la “maggioranza Ursula” sia piuttosto ampia sulla carta (401 europarlamentari su 720 totali), il fantasma dei franchi tiratori incombe sulla leader del Ppe.

Dal partito calcolano che il 15% dei voti attesi per Ursula potrebbe venire meno nel segreto delle urne, mettendo a rischio la sua rielezione. La presidente uscente non parla di Green Deal commentando i risultati all’emiciclo per evitare di inimicarsi gruppi ed eurodeputati che potrebbero tornarle utile, dopo il crollo dei Verdi e l’avanzata delle destre: il pilastro del suo primo mandato è diventato un tema divisivo per i suoi sostenitori, certi o potenziali.

Il muro (non invalicabile) delle destre

Tra i principali oppositori al Green Deal, ci sono tre partiti usciti molto bene dalle urne delle europee 2024: l’Fpo (il partito della libertà) austriaco; l’AfD in Germania e soprattutto il Rassemblement National di Marine Le Pen che ha doppiato Macron costringendolo alle elezioni anticipate Oltralpe.

Il piano di Le Pen sul Green Deal

Nel suo programma, il Rassemblement National, che ha ottenuto il 31,4% delle preferenze e 30 seggi all’Europarlamento, prevede testualmente di:

  • “restituire alle famiglie i 5 miliardi di sussidi erogati in particolare ai parchi eolici”;
  • “bloccare i progetti di parchi eolici e smantellare gradualmente quelli esistenti”;
  • rilanciare i settori nucleare e idroelettrico e investire nell’idrogeno”;
  • “uscire dal mercato europeo dell’elettricità per ripristinare prezzi decenti”.

La leader Marine Le Pen ha detto che “Per cinque anni la Ue con il Green Deal ha paralizzato le aziende”, promettendo: “invertiremo questa logica aberrante”.

Il piano di Fpo sul Green Deal

 Successo anche per il partito di estrema destra austriaco Fpo, che raddoppia i suoi seggi nell’Europarlamento (da 3 a 6) e nel suo programma chiede la fine definitiva del Green Deal. Più nello specifico “Il partito della libertà” austriaco vuole:

  • “Fermare la distruzione sfrenata di economia, industria e competitività”;
  • “Pagamenti equi agli agricoltori austriaci e tutela dell’agricoltura locale”, tema che rimanda alle proteste degli agricoltori e alle modifiche della Pac, avvenuta proprio a ridosso delle elezioni;
  • Revoca del divieto sui motori a combustione”.

L’opposizione al Green Deal, però, non deve essere letta come una completa avversione alle energie rinnovabili da parte dell’Fpo. Contemporaneamente alle richieste elencate, il partito guidato da Herbert Kickl vuole puntare sulle energie rinnovabili al posto del nucleare: “L’Ue sta promuovendo l’espansione dell’energia nucleare con il pretesto di ‘politica climatica’.

I francesi si fregano le mani e vogliono costruire altre 14 centrali nucleari oltre alle 56 già esistenti. Siamo seduti su un barile di polvere nucleare”, sostengono da Vienna. Per questo, l’Fpo chiede “di smettere di promuovere l’energia nucleare come ‘energia pulita’, l’espansione delle energie rinnovabili, una politica ambientale sensata invece di una dittatura climatica dell’Ue”.

Il piano di AfD sul Green Deal

Situazione particolare per Alternative für Deutschland che è stato scaricato da Le Pen e dal gruppo ID, dove risiedeva fino a due settimane fa. Anche AfD ha ottenuto un grande successo elettorale, piazzandosi come seconda forza tedesca e guadagnando 6 seggi (sale a 15 seggi nell’emiciclo), anche a scapito di Spd che ne perde 2 (scende a 14 seggi).

Nel programma del partito di ultradestra tedesco si legge: “Il dogma del cambiamento climatico provocato dall’uomo serve come pretesto all’Ue per intervenire in tutti gli ambiti della vita. I programmi dell’Ue come il ‘Green deal’ e ‘Fit for 55’ stanno avendo un impatto distruttivo sull’economia europea e soprattutto su quella tedesca”. Quindi, ancora testualmente:

  • I combustibili fossili erano e sono la base della nostra prosperità”;
  • “L’affermazione di una minaccia derivante dal cambiamento climatico provocato dall’uomo non si basa su prove scientifiche”;
  • Il Green Deal è “un programma politico volto a tassare l’aria che respiriamo e quindi attuare trasformazioni sociali. È un progetto ecosocialista che porta inevitabilmente a una drammatica riduzione della prosperità e a una restrizione totalitaria della libertà”.

L’altra metà dell’emiciclo

Non ci sono però solo i partiti di estrema destra, la cui avanzata è stata forte ma non travolgente. Dall’altro lato ci sono le forze di maggioranza, liberali e socialiste, e i verdi, che dopo la batosta elettorale chiedono almeno di salvare il Green Deal, se non altro perché ormai avviato in molti processi industriali.

“Per noi è fondamentale l’approfondimento del Green deal e il rafforzamento della democrazia europea. E spero che se il Consiglio presenterà Ursula von der Leyen per il secondo mandato ciò sia al cuore di quanto vuole raggiungere. E abbiamo bisogno di vedere l’impegno per sostenerla”, ha detto il copresidente uscente dei Verdi, Philippe Lamberts.

Per gli oppositori, il Green Deal ha il grande demerito di affossare l’economia europea. Su questo punto, il candidato dei Verdi Bas Eichkout ha dichiarato: “Il Green deal del 2019 era un programma anche per l’economia e se consideriamo che Usa e Cina stanno spingendo sulla corsa mondiale nell’innovazione verde, credo che sarebbe un errore madornale da parte nostra abbandonare il Green deal: anche le nostre imprese vogliono prevedibilità e chiarezza per il futuro e, dunque, per noi è chiaro che in qualunque programma futuro deve rientrare il Green deal. Continuare il Green deal nel contesto di una strategia industriale è imprescindibile”.

La resistenza della “maggioranza Ursula” va nella direzione di proseguire con il Green Deal, anche alla luce delle riforme normative e del fatto che migliaia di aziende si sono adattate alle nuove esigenze green. Il tema è capire come si farà e quali modifiche verranno apportate al piano che solo cinque anni fa era il pilastro della legislatura von der Leyen.

Sulla stessa linea dei Verdi i socialisti: “Sta a noi, ora, dare ai cittadini un messaggio forte di speranza e questo messaggio forte riguarda l’Europa sociale e una Europa che ponga in essere una politica ambientale che prevenga le catastrofi che vediamo in Europa e nel mondo”, ha chiosato Nicolas Schmit.

Dati alla mano, un cittadino europeo su otto è a rischio alluvioni o siccità. Una situazione provocata soprattutto dal cambiamento climatico che, a sua volta, è principalmente di natura antropologica.
Pensare che questo non sia una questione anche economica rischia di rivelarsi un boomerang per le future scelte dell’Ue.

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