Quando sorseggiate una birra, potreste senza saperlo stare facendo anche una ‘bevuta’ di PFAS, le cosiddette sostanze chimiche eterne, note per la loro capacità di persistere nell’ambiente e per la loro tossicità. Uno studio condotto da RTI International, istituto di ricerca scientifica indipendente statunitense, ha infatti trovato questi contaminanti nel 95% delle birre che ha analizzato. Ma la cosa non dovrebbe sorprendere: i forever chemicals si trovano ormai ovunque, nell’acqua potabile, nei suoli e perfino nell’aria. E proprio l’acqua, ingrediente principale della birra (oltre il 90% del contenuto totale), risulta essere la principale fonte di contaminazione.
Ecco perché il problema non riguarda solo gli Stati Uniti ma ha portata globale: i contaminanti perfluoroalchilici e polifluoroalchilici sono diffusi in tutto il mondo. Ed ecco perché non investe solo la birra ma anche caffè, tè e bevande gassate – tutte a base d’acqua
Acqua contaminata, birra contaminata
Lo studio, dal titolo ‘Hold My Beer: The Linkage between Municipal Water and Brewing Location on PFAS in Popular Beverage‘ e pubblicato su Environmental Science & Technology dell’American Chemical Society, ha indagato la relazione e il collegamento tra la qualità dell’acqua potabile municipale e la presenza di PFAS nella birra.
I ricercatori hanno confrontato i dati sull’acqua pubblica con quelli ottenuti da birre acquistate nei negozi, analizzando 23 tipi di birra prodotti in 17 contee di nove Stati americani e in tre Paesi diversi (oltre agli Usa, Olanda e Messico). Per la prima volta, hanno adattato il metodo EPA 533, normalmente usato per testare l’acqua potabile, all’analisi della birra.
Il risultato: nel 95% dei campioni sono stati rilevati PFAS, notoriamente tossici per l’uomo e l’ambiente.
Cosa è emerso dallo studio
La ricerca dunque ha dimostrato un legame diretto tra la contaminazione dell’acqua e quella della birra: d’altronde per produrre un litro della bionda bevanda servono fino a sette litri d’acqua, e questo aumenta la probabilità che i contaminanti entrino nel processo produttivo. Infatti le bevande di birrifici più piccoli situati vicino a fonti d’acqua contaminate presentava una maggiore probabilità di presenza di PFAS rispetto agli analoghi statunitensi o internazionali prodotti su larga scala.
Le sostanze più comuni rilevate sono state PFOS (acido perfluoroottansolfonico), e PFOA (acido perfluoroottanoico), ma anche PFBS (acido perfluorobutansolfonico) e PFHxS (acido perfluoroesansolfonico). L’alta incidenza di PFOS è stata collegata all’inquinamento da schiume antincendio AFFF, usate a lungo nei pressi di basi militari e aeroporti, dimostrando un diffuso trasporto ambientale.
Le birre prodotte in aree ad alto inquinamento, come la Carolina del Nord, hanno mostrato i livelli più elevati e la maggiore varietà di composti PFAS. Anche alcune birre internazionali esaminate contenevano tracce, seppur inferiori.
I ricercatori hanno inoltre riscontrato differenze significative tra bottiglie o lattine appartenenti alla stessa confezione, segno di una contaminazione irregolare ma diffusa. In alcuni campioni, le concentrazioni di PFOS e PFOA superavano i limiti stabiliti dall’Agenzia per la Protezione Ambientale (EPA) per l’acqua potabile.
Filtrare non basta: i limiti dei sistemi di depurazione
I birrifici tradizionali dispongono di sistemi di filtrazione che però sono pensati per regolare i minerali e il pH dell’acqua, e non per rimuovere sostanze chimiche come i PFAS. Ciò significa che, se l’acqua di partenza è contaminata, anche la birra prodotta con essa lo sarà, spiega lo studio.
Un dato significativo è che circa il 18% dei birrifici statunitensi si trova in aree servite da acquedotti pubblici già contaminati da PFAS.
Cosa sono i PFAS e perché sono così pericolosi
I PFAS, acronimo di sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche, sono composti chimici utilizzati per le loro proprietà anti-macchia, anti-grasso, ignifughe e idrorepellenti. Sono presenti da decenni in oggetti di uso comune come rivestimenti antiaderenti, tessuti e vestiti impermeabili, imballaggi alimentari, e persistono per centinaia di anni nell’ambiente, tendendo ad accumularsi nei tessuti biologici. Diversi studi scientifici hanno collegato l’esposizione agli inquinanti eterni a problemi oncologici, disturbi endocrini e alterazioni del sistema immunitario. Per liberarci di questi contaminanti, occorrerebbero 100 miliardi di euro l’anno.
Qui per approfondire:
“Serve un’azione coordinata per ridurre i PFAS”
Negli Stati Uniti, le autorità hanno introdotto limiti massimi per i PFAS nell’acqua potabile, ma non esistono ancora soglie per bevande come la birra. Jennifer Hoponick Redmon, direttrice senior per la salute ambientale e la qualità dell’acqua presso RTI e team leader della ricerca, sottolinea che “lo studio Hold My Beer evidenzia la necessità di un’azione ampia e coordinata per ridurre i PFAS nelle forniture idriche”.
Eppure le cose sembrano andare in tutt’altra direzione, con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump che si sta muovendo per abbassare le soglie dei forever chemicals nell’acqua. In Europa, dove l’inquinamento dei fiumi per i PFAS è grave, le cose vanno meglio, con l’Ue che sta cercando di stringere sui limiti e l’Italia che ne fissa di severi.
Cosa possono fare produttori e consumatori
Cosa possono fare i consumatori? Intanto pretendere limiti stringenti all’uso dei Pfas. Poi, nel quotidiano, premesso che gli inquinanti eterni sono stati trovati anche nel corpo umano proprio per la loro pervasività, si può scegliere di dare priorità a birre prodotte da birrifici che non contengono PFAS nell’acqua potabile comunale, che testano regolarmente la qualità dell’acqua o che utilizzano sistemi di filtrazione avanzati. Le tecniche più efficaci includono filtrazione a carbone attivo, scambio ionico e soprattutto osmosi inversa.
Dal canto loro, i birrifici possono integrare controlli sull’acqua utilizzata e potenziare gli impianti di trattamento. Anche le aziende idriche possono migliorare i propri sistemi di depurazione, intervenendo a monte per eliminare i contaminanti prima della distribuzione.