Clima estremo, l’Onu lancia l’allarme: “Preparatevi a vivere nel caldo”

Caldo record in Europa, gelo senza precedenti in Sud America: secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, il mondo deve prepararsi a convivere con temperature estreme come realtà permanente
2 Luglio 2025
5 minuti di lettura
Clima, Soffre Di 'ecoansia' Il 67% Dei Giovani Nel Mondo

Nel fine settimana Buenos Aires ha toccato i -16°C, superando in gelo persino la Groenlandia. Contemporaneamente, il Mediterraneo ha registrato temperature marine più simili a quelle di agosto che di giugno, con picchi di 46°C in Spagna e allarmi rossi in Francia. Mentre l’emisfero sud affronta un’ondata di gelo mai vista, l’Europa brucia in una cappa di calore che non accenna a dissolversi. Il mondo, letteralmente, si spacca in due. Ma dietro gli estremi opposti si cela un’unica causa: il cambiamento climatico antropico. Su questo punto l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, agenzia dell’Onu, ha lanciato un avvertimento chiaro: “Le ondate di calore sono ormai una condizione permanente. E sono destinate a peggiorare”. Secondo la stessa agenzia, “il mondo deve iniziare a prepararsi a vivere con il caldo estremo come una realtà permanente”.

L’Europa brucia sotto l’alta pressione africana

Le temperature attuali in Europa non sono solo elevate. Sono eccezionali per il calendario. In diversi punti dell’Europa occidentale e sud-occidentale – dalla penisola iberica alla Francia – giugno ha registrato nuovi record, sia nei valori minimi notturni che nei massimi pomeridiani. A rendere il tutto più grave è il contesto meteorologico: l’Europa è avvolta da un sistema di alta pressione di origine africana che funziona come una trappola termica. L’aria calda viene compressa verso il suolo, la copertura nuvolosa è praticamente assente, e il risultato è un’irradiazione solare massiccia, con l’aria che resta stagnante e rovente per giorni.

Non è un fenomeno localizzato. La Spagna ha toccato i 46°C nel sud, secondo i dati dell’Agencia Estatal de Meteorología. La Francia ha emesso un’allerta rossa – il massimo livello previsto – per 16 dipartimenti, con 68 sotto allerta arancione per temperature sopra i 40°C. La Svizzera, tramite MeteoSwiss, ha segnalato condizioni critiche su tutto il territorio, incluso il bacino urbano di Ginevra.

Un fattore aggravante è la temperatura del Mar Mediterraneo: secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, le acque superficiali sono insolitamente calde per questo periodo dell’anno. Questo contribuisce ad amplificare l’effetto delle alte temperature sulle terre emerse, alimentando un circolo vizioso che rende le ondate di calore più intense e persistenti.

Nei contesti urbani, il fenomeno dell’“isola di calore” urbana peggiora ulteriormente la situazione: il cemento, l’asfalto, l’assenza di vegetazione e l’accumulo di fonti di calore trasformano le città in veri e propri forni, dove anche le notti non offrono tregua. È qui che la crisi climatica mostra il suo volto più minaccioso: non solo come anomalia meteorologica, ma come minaccia concreta per la salute pubblica, la vivibilità e l’equilibrio delle infrastrutture.

Il Sud America nella morsa del gelo

Nel frattempo, al di là dell’equatore, la situazione è opposta ma altrettanto allarmante. A fine giugno, l’Argentina è diventata – per alcune giornate – il luogo più freddo del pianeta. In Patagonia le temperature sono scese fino a -18°C, con record negativi registrati in città come Maquinchao (-16,2°C), Esquel e Malargüe. E non è stato un evento isolato: in tutta la regione sudamericana, dal Brasile al Cile, dal Perù al Paraguay, il freddo eccezionale ha paralizzato i trasporti, bloccato aeroporti, causato blackout e provocato precipitazioni nevose in aree dove la neve è raramente osservata.

Trelew, nel nord-est della Patagonia, ha visto nevicare per la prima volta in 12 anni. Nello stato brasiliano di Rio Grande do Sul, una perturbazione ha scaricato 92 mm di pioggia in un solo giorno, aggravando una situazione già compromessa da precedenti alluvioni.

Questa combinazione di freddo intenso e precipitazioni anomale rappresenta una nuova forma di instabilità climatica: mentre l’Europa brucia, il Sud America gela. Ma entrambi gli estremi sono sintomi dello stesso problema. Il cambiamento climatico non si traduce in un semplice “riscaldamento globale”, ma in una destabilizzazione dei modelli meteorologici. Le correnti a getto si comportano in modo più erratico, le masse d’aria fredda o calda si muovono in modo più estremo, e il risultato è un mondo sempre più soggetto a eventi meteorologici fuori scala.

L’Organizzazione Meteorologica Mondiale ha ricordato che anche il freddo può essere letale, soprattutto nelle regioni impreparate. I sistemi sanitari devono adattarsi non solo al caldo, ma anche agli sbalzi improvvisi e imprevedibili del clima. E se le estati torride in Europa attirano più attenzione mediatica, gli impatti sociali ed economici del gelo invernale nell’emisfero sud non sono meno drammatici.

L’allarme dell’Onu: il cambiamento climatico minaccia i diritti umani fondamentali

A Ginevra, durante una sessione del Consiglio per i diritti umani, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite Volker Türk ha dichiarato che il cambiamento climatico sta compromettendo diritti fondamentali come la salute, il lavoro e l’accesso a un ambiente vivibile. Ha chiesto agli Stati se siano in grado di proteggere efficacemente le persone dagli impatti ambientali in corso, sottolineando l’inadeguatezza delle risposte attuali.

Secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, se non verranno adottate misure correttive, entro il 2030 potrebbero scomparire 80 milioni di posti di lavoro a tempo pieno. Oggi circa 2,4 miliardi di persone, pari al 70% della forza lavoro globale, sono esposte a temperature elevate durante le ore lavorative. Solo il 9% dei lavoratori nei 20 Paesi più colpiti dispone di una qualche forma di protezione sociale. L’Onu segnala una mancanza strutturale di investimenti nelle politiche di prevenzione e resilienza, mentre le azioni attuate finora restano in gran parte emergenziali.

Nel suo ultimo intervento, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani e i cambiamenti climatici, Elisa Morgera, ha indicato la necessità di una progressiva eliminazione dei combustibili fossili non solo dai processi produttivi ma anche dalla sfera culturale. Ha accusato le industrie fossili di aver influenzato a lungo l’opinione pubblica attraverso strategie di disinformazione e comunicazione ingannevole. Ha chiesto un cambiamento nei paradigmi educativi e scientifici che hanno normalizzato il ricorso ai combustibili fossili.

Target climatici in bilico

Mentre il fronte climatico divampa – tra ondate di calore, gelo record e dichiarazioni Onu – la risposta politica europea rischia di procedere a rilento. Alcuni Stati membri della Ue stanno chiedendo una maggiore “flessibilità” rispetto ai target climatici previsti dal Green Deal europeo. Le richieste arrivano in un contesto di crescenti difficoltà interne, tra pressioni economiche, energetiche e sociali, che stanno spingendo diversi governi a rivedere al ribasso le ambizioni iniziali.

Ma il tempismo non potrebbe essere peggiore. Secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, la frequenza e l’intensità delle ondate di calore sono in aumento. Più dei due terzi degli eventi più estremi in Europa dal 1950 si sono verificati dopo il 2000. Il sesto rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc) prevede che entro il 2050 circa metà della popolazione europea sarà esposta a un rischio alto o molto alto di stress da calore, con particolare concentrazione nell’Europa meridionale, orientale e centrale.

Nonostante ciò, alcune capitali europee sembrano privilegiare una visione a breve termine, preoccupate più di consenso e competitività che di resilienza e sicurezza climatica. In questo contesto, il recente aumento del 10% del budget per il biennio 2026-2027 della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici rappresenta un segnale positivo, ma ancora insufficiente.

Colpisce in particolare il ruolo crescente della Cina, che aumenterà la propria quota al 20% del budget complessivo. Un segnale che, mentre alcune potenze storiche rallentano, altre colmano il vuoto con maggiore impegno finanziario. Ma la vera domanda resta sul tavolo: riuscirà la governance climatica internazionale ad agire con la rapidità e la coerenza necessarie prima che la crisi diventi irreversibile?

Territorio | Altri articoli