Ogni giorno, nelle oltre ottomila scuole pubbliche italiane, c’è una figura che lavora lontano dai riflettori, ma da cui dipende una parte cruciale del funzionamento dell’intero istituto: il Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi, abbreviato in Dsga. Questo ruolo è incaricato della direzione dell’area amministrativa, contabile e organizzativa delle scuole, un compito che comprende la gestione del personale Ata, la supervisione della segreteria, la contabilità finanziaria, i contratti, i bandi di gara, l’approvvigionamento di materiali e la rendicontazione di fondi nazionali ed europei. Si tratta, in sintesi, del cuore amministrativo della scuola. Eppure, per quanto strategico, è un ruolo spesso poco conosciuto all’esterno e, soprattutto, gravato da una mole crescente di responsabilità e pressione.
Un’indagine realizzata dal Dipartimento di Scienze Umane dell’Università Lumsa, su incarico dell’Anquap (Associazione Nazionale Quadri delle Amministrazioni Pubbliche), ha fotografato in modo approfondito la condizione lavorativa di questa categoria professionale. Oltre duemila Dsga hanno risposto a un questionario dettagliato che analizza ritmi di lavoro, stress, benessere psico-fisico, coinvolgimento e motivazione. I dati emersi descrivono una realtà fortemente problematica: l’85% dei partecipanti dichiara di lavorare quotidianamente a ritmi molto o moltissimo elevati, mentre il 99% è impegnato in attività che richiedono costante concentrazione e risoluzione continua di problemi, spesso senza una rete strutturata di supporto. Una condizione che espone a un rischio concreto di stress cronico e che solleva interrogativi urgenti sulla sostenibilità organizzativa del sistema scolastico.
La quotidianità ad alta intensità dei Dsga
L’indagine della Lumsa evidenzia come il lavoro dei Dsga si sviluppi in un contesto ad alta intensità decisionale, spesso privo di riferimenti stabili. L’83% degli intervistati riferisce di trovarsi in uno stato di tensione pressoché costante, dovuto all’obbligo di prendere decisioni complesse e urgenti in tempi rapidi. Il tutto in un quadro normativo in continua evoluzione, con adempimenti che si sommano senza una riduzione proporzionale delle responsabilità. La sensazione di precarietà organizzativa si unisce a una pressione sistemica che trasforma ogni giornata lavorativa in una sequenza continua di urgenze. I compiti richiesti – dalla stesura dei bilanci alla gestione dei fondi Pnrr, dal coordinamento del personale alla vigilanza contrattuale – non solo richiedono competenze tecniche elevate, ma anche una capacità costante di adattamento.
Un altro dato significativo è che molte di queste attività vengono svolte in modo solitario, senza un’effettiva condivisione operativa. L’assenza di una rete di supporto formalizzata incide negativamente sul carico cognitivo percepito e aumenta il rischio di errore. Secondo la letteratura sulle professioni di leadership intermedia, ruoli ad alta responsabilità ma con bassa autonomia – come quello del Dsga – sono tra i più vulnerabili allo stress lavoro-correlato. Le decisioni da prendere sono molte, ma gli strumenti per attuarle spesso insufficienti. A ciò si aggiunge la necessità di mediare tra le richieste della dirigenza scolastica, quelle del corpo docente e quelle degli uffici territoriali, con un rischio costante di conflitto tra priorità diverse. Una situazione che, giorno dopo giorno, erode la percezione di controllo e l’equilibrio personale.
Disagio emotivo e rischio burnout
L’impatto emotivo del lavoro emerge con forza nei dati dell’indagine. Oltre l’80% dei Dsga dichiara che il proprio impiego è emotivamente stancante. Il 68% riferisce di provare regolarmente emozioni negative come frustrazione, ansia e irritabilità. Questi segnali non sono episodi isolati, ma indicatori strutturali di un disagio che si manifesta in modo diffuso e persistente. Il 52% del campione mostra sintomi riconducibili al burnout: esaurimento emotivo, riduzione della motivazione e disconnessione dal proprio ruolo. Non si tratta semplicemente di stanchezza, ma di un logoramento progressivo che mina il coinvolgimento e la qualità della performance professionale.
Il concetto di burnout, ampiamente studiato nella psicologia del lavoro, si riferisce proprio a quella sindrome tipica delle professioni ad alto coinvolgimento, in cui la distanza tra ciò che si fa e ciò che si vorrebbe fare diventa insostenibile. Nei Dsga, questo fenomeno si riflette in una perdita di entusiasmo: più della metà degli intervistati afferma di non sentirsi più parte attiva della scuola. L’esperienza lavorativa si trasforma in una routine priva di riconoscimento e, spesso, di senso. In parallelo, emergono segnali di deterioramento della salute fisica: il 57% soffre di disturbi del sonno, e tra i casi di stress acuto, il 68% riguarda donne. La componente femminile – maggioritaria nella professione – è dunque particolarmente esposta al rischio psico-fisico, con implicazioni che meritano attenzione specifica da parte delle politiche del lavoro pubblico.
Equilibrio vita-lavoro compromesso e insoddisfazione professionale diffusa
L’indagine approfondisce anche le ripercussioni del lavoro dei Dsga sulla sfera personale. Il 54% dei partecipanti afferma che il proprio impiego esaurisce completamente le energie, mentre il 51% segnala un impatto negativo sulla vita privata. Questi dati confermano che il tempo e lo sforzo richiesti non si esauriscono nelle ore d’ufficio, ma si estendono ben oltre, interferendo con le relazioni familiari e con la possibilità di recupero psico-fisico. L’equilibrio tra vita lavorativa e personale risulta fortemente compromesso, con un conseguente aumento del rischio di malessere generale.
A questa condizione si somma una profonda insoddisfazione per il riconoscimento professionale. Solo il 4% dei Dsga consiglierebbe questo lavoro ad altri, mentre il 66% sta valutando concretamente l’ipotesi di cambiarlo. Il 97% ritiene la retribuzione non adeguata al livello di responsabilità e al carico di lavoro richiesto. Si tratta di segnali che, se letti nel loro insieme, mostrano una frattura tra aspettative professionali e realtà lavorativa. Una distanza che, se non colmata, rischia di trasformarsi in un progressivo abbandono della professione. Un rischio che riguarda non solo i singoli, ma l’efficienza dell’intero sistema scolastico.