L’Europa produce una quantità impressionante di rifiuti. Dall’industria manifatturiera al settore alimentare, dall’edilizia ai dispositivi elettronici, fino ai tessili: ogni anno la mole di rifiuti continua ad aumentare. Il paradosso è evidente. Da un lato, si parla di economia circolare e di sostenibilità ambientale come obiettivi strategici; dall’altro, il continente sembra ancora incapace di spezzare il legame tra crescita economica e produzione di scarti. Per ogni cittadino europeo, la media è di circa mezza tonnellata di rifiuti all’anno, di cui poco più del 40% viene effettivamente riciclato. In numeri assoluti, si tratta di centinaia di milioni di tonnellate di risorse perse, di un impatto devastante sull’ambiente e di una corsa contro il tempo per rendere sostenibile un sistema che, così com’è, non può reggere ancora a lungo.
Ma non è solo una questione di volumi. Lo smaltimento scorretto ha effetti deleteri per la salute umana e per l’ecosistema. Gli inceneritori contribuiscono all’inquinamento atmosferico, le discariche possono contaminare suolo e falde acquifere, e i rifiuti elettronici si accumulano con materiali altamente inquinanti e difficili da trattare. Per rispondere a questa emergenza, l’Unione Europea ha adottato una politica dei rifiuti sempre più stringente, puntando su un mix di prevenzione, riuso e riciclo. La parola chiave è “circolarità”: i prodotti devono restare in uso il più a lungo possibile e, quando arrivano a fine vita, devono essere smaltiti nel modo più efficiente e sostenibile. Ma quanto siamo lontani da questo obiettivo?
Il piano Ue per il riciclo dei rifiuti
L’Europa si sta muovendo, anche se non senza difficoltà. Il piano d’azione per l’economia circolare della Commissione punta a dimezzare entro il 2030 la quantità di rifiuti urbani non riciclati, con l’obiettivo che tutti gli Stati membri raggiungano almeno il 60% di riciclo. Alcuni Paesi sembrano già a buon punto: la Germania, per esempio, sfiora il 68% di riciclo dei rifiuti municipali. Altri, invece, arrancano. Nel 2021, la Romania riciclava solo l’11% dei propri rifiuti, mentre Malta, Cipro e la Turchia non superavano il 20%.
Le direttive europee sono chiare e includono obiettivi specifici per diversi tipi di rifiuti. La Direttiva Quadro sui Rifiuti impone target per il riciclo e la preparazione al riuso; la Direttiva sui Rifiuti Elettrici ed Elettronici stabilisce quote per la raccolta separata e il riciclo di questi prodotti; quella sugli imballaggi definisce soglie minime per il riciclo dei materiali di confezionamento. In aggiunta, il Green Deal europeo ha imposto un bando sulla plastica monouso, che rappresenta una delle principali fonti di inquinamento nei mari e negli oceani. Tuttavia, nonostante questi progressi, il quadro complessivo rimane complesso. La produzione complessiva di rifiuti, infatti, continua a crescere, e anche raggiungendo il target del 60%, l’obiettivo di dimezzare i rifiuti urbani non riciclati appare ancora lontano. La vera sfida è prevenire la produzione di rifiuti alla fonte, un obiettivo che richiede cambiamenti radicali nei modelli di consumo e produzione.
L’Italia tra progressi e contraddizioni
E l’Italia? Il nostro Paese si trova in una posizione intermedia rispetto agli altri Stati membri. Nel 2020, la produzione di rifiuti urbani pro capite era di 487 kg, un dato inferiore alla media europea di 517 kg. Un miglioramento rispetto ai 540 kg del 2004, ma con un trend piuttosto altalenante. La crisi economica del 2010-2013 ha portato a una riduzione significativa della produzione di rifiuti, salvo poi assistere a un nuovo aumento negli anni successivi.
Sul fronte del riciclo, l’Italia ha fatto passi avanti: la percentuale di rifiuti urbani riciclati si attesta attorno al 50%, un dato superiore alla media europea ma ancora lontano dagli obiettivi del 2030. Anche per quanto riguarda i rifiuti industriali, il nostro Paese mostra una performance migliore rispetto a molti altri partner europei. Tuttavia, permangono molte criticità. Il settore delle costruzioni e delle demolizioni, ad esempio, continua a generare enormi quantitativi di rifiuti, mentre il trattamento degli scarti elettronici e delle batterie è ancora poco sviluppato. Con l’aumento delle auto elettriche, la questione dello smaltimento delle batterie al litio diventerà sempre più centrale.
L’Italia si è dotata di un Piano Nazionale per la Prevenzione dei Rifiuti, con obiettivi quantitativi e qualitativi. Tra i settori chiave individuati ci sono l’agricoltura, l’edilizia, il commercio al dettaglio, il trasporto, i servizi pubblici e privati, l’industria dell’ospitalità. Le priorità riguardano la riduzione dei rifiuti organici, la gestione dei rifiuti pericolosi e il riciclo di imballaggi e apparecchiature elettroniche. Il problema principale, tuttavia, rimane la frammentazione delle competenze tra le diverse regioni e la necessità di migliorare le infrastrutture per la raccolta differenziata e il riciclo.
Il Paese non è ancora riuscito a separare completamente la crescita economica dalla produzione di rifiuti: mentre il PIL è aumentato fino al 2018, i rifiuti complessivi generati sono saliti di pari passo. Per colmare il gap con i Paesi più virtuosi, l’Italia dovrà rafforzare le politiche di prevenzione, investire in nuove tecnologie per il riciclo avanzato e migliorare l’efficienza della raccolta. Solo così potrà trasformare l’economia circolare da promessa a realtà concreta.