L’acqua che (non) c’è: in Sicilia tornano i dissalatori

Il governo stanzia 100 milioni di euro per riattivare gli impianti di desalinizzazione a Gela, Trapani e Porto Empedocle. Tra ritardi, costi elevati e soluzioni temporanee, resta il nodo di una strategia di lungo termine
6 Marzo 2025
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Acqua Rubinetto Emergenza Idrica

L’acqua, risorsa tanto preziosa quanto scarsamente disponibile in Sicilia, è diventata oggetto di razionamenti per circa due milioni di persone. Da mesi, città come Palermo, Caltanissetta ed Enna vivono con restrizioni idriche che hanno riportato in auge il tema della desalinizzazione. Il governo ha risposto alla crisi stanziando fino a 100 milioni di euro per il ripristino di tre dissalatori, situati a Gela, Trapani e Porto Empedocle. Questi impianti non sono una novità: esistevano già, ma erano stati dismessi a causa degli elevati costi operativi. Tuttavia, l’attuale emergenza idrica li ha resi nuovamente indispensabili, sollevando interrogativi sulla lungimiranza delle scelte politiche in materia di gestione delle risorse idriche.

I fondi per il ripristino saranno gestiti dal commissario straordinario alla Siccità, Nicola Dell’Acqua (il cui nome sembra un’ironica coincidenza). Il piano prevede due fasi: nel breve termine, l’installazione di tre dissalatori mobili entro giugno 2025, con un investimento di 50 milioni di euro, e, nel medio termine, la costruzione di un impianto fisso a Porto Empedocle, capace di produrre fino a 400 litri d’acqua potabile al secondo. I lavori per quest’ultimo richiederanno almeno 15 mesi. Nonostante la soddisfazione espressa dal governo per la rapidità delle decisioni, restano aperti diversi interrogativi: perché si è atteso fino a una crisi conclamata per riattivare questi impianti? E, soprattutto, la desalinizzazione sarà davvero la chiave per garantire un approvvigionamento idrico stabile nell’isola?

Cos’è la desalinizzazione?

Il principio alla base della desalinizzazione è semplice: eliminare il sale dall’acqua marina per renderla potabile. Il metodo più diffuso è l’osmosi inversa, che utilizza membrane semipermeabili per separare l’acqua dalle impurità. In alternativa, esistono processi termici basati sull’evaporazione e condensazione, sebbene siano più energivori. La questione chiave, tuttavia, non è tanto la tecnologia, quanto l’efficienza e la sostenibilità economica della desalinizzazione su larga scala.

Paesi come Israele, gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita hanno investito massicciamente in questa tecnologia, tanto da renderla parte integrante della loro strategia di approvvigionamento idrico. In Israele, il 70% dell’acqua domestica proviene da dissalatori, con impianti all’avanguardia come quello di Sorek, tra i più grandi al mondo. Anche in Europa, la Spagna si distingue per il massiccio impiego della dissalazione, con circa 765 impianti attivi al 2021, di cui alcuni su larga scala, come quello di Torrevieja-Alicante, che produce 240mila metri cubi di acqua al giorno.

In Italia, invece, la dissalazione è rimasta ai margini. Attualmente, gli impianti attivi si concentrano in regioni come Puglia, Toscana, Sardegna, Lazio e Sicilia, con una produzione complessiva di appena 17 milioni di metri cubi all’anno. Per confronto, i dissalatori spagnoli producono 5 milioni di metri cubi al giorno. La maggior parte degli impianti italiani ha una capacità inferiore ai 2000 metri cubi al giorno e viene impiegata principalmente per usi industriali (71% dei casi). Solo una piccola parte dell’acqua dissalata viene destinata al consumo umano, e l’agricoltura ne resta quasi completamente esclusa. Le ragioni di questo ritardo sono molteplici: dall’elevato consumo energetico dei dissalatori alla scarsa integrazione con il sistema idrico nazionale, fino alla mancanza di una strategia politica a lungo termine.

Il piano dissalatori in Sicilia

La crisi idrica siciliana ha reso evidente la necessità di un cambio di passo nella gestione delle risorse idriche. La cabina di regia contro la siccità, guidata dal commissario Dell’Acqua, ha approvato il “Piano dissalatori”, frutto di mesi di negoziati con la Regione Sicilia e Siciliacque. Il piano prevede due direttrici principali: la messa in funzione di dissalatori mobili e la realizzazione di un impianto fisso a Porto Empedocle. La Regione ha stanziato 50 milioni di euro per i dissalatori mobili, suddivisi tra Trapani (20,05 milioni), Porto Empedocle (12,07 milioni) e Gela (17,88 milioni), con l’obiettivo di recuperarne fino a 1.000 litri al secondo entro l’estate 2025.

Il piano di lungo periodo, invece, punta alla costruzione di un impianto fisso da 2-300 litri al secondo, che potrebbe arrivare fino a 400 litri, utilizzando la tecnologia a osmosi inversa. Tuttavia, la realizzazione richiederà almeno 15 mesi e un finanziamento complessivo di 140 milioni di euro, superiore ai 100 milioni attualmente disponibili. Il rischio, dunque, è che la soluzione tampone dei dissalatori mobili non basti a fronteggiare l’emergenza idrica, mentre l’impianto fisso resta un progetto ancora in fase di definizione.

Il piano non ha mancato di sollevare critiche. Se da un lato il vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha espresso soddisfazione per la rapidità con cui il commissario Dell’Acqua ha concordato le soluzioni, dall’altro la stessa Regione Sicilia, che inizialmente aveva chiesto interventi più incisivi, si è dovuta accontentare di un compromesso. Nonostante le risorse stanziate, le difficoltà tecniche e burocratiche hanno rallentato l’attuazione del piano, mentre la popolazione continua a subire le conseguenze della crisi idrica.

Inoltre, il modello energetico necessario per alimentare questi impianti non è ancora stato definito: l’Italia, a differenza di Israele o degli Emirati, non dispone di una rete energetica pensata per sostenere su larga scala il processo di desalinizzazione.

Mentre la Sicilia si affanna a recuperare il tempo perduto, altri Paesi stanno già investendo massicciamente nella desalinizzazione. L’Algeria, ad esempio, ha annunciato un piano da 5,4 miliardi di dollari per costruire nuovi dissalatori e garantire l’approvvigionamento idrico ai suoi 47 milioni di abitanti. Grazie a cinque nuovi impianti in fase di realizzazione, la capacità di desalinizzazione del paese passerà da 2,2 a 3,7 milioni di metri cubi al giorno entro il 2030. Anche l’Australia ha adottato strategie simili, con impianti costruiti per far fronte a periodi di siccità estrema.

Questo dimostra come la desalinizzazione sia ormai una scelta strutturale per molti paesi, mentre in Italia rimane una soluzione emergenziale adottata solo in condizioni di crisi. Ma con il cambiamento climatico che rende sempre più instabili le risorse idriche naturali, la vera domanda è se il Paese sia pronto a compiere un salto di qualità nella gestione dell’acqua. La domanda che resta aperta è: la Sicilia riuscirà a trasformare questo intervento d’emergenza in una strategia di lungo termine per garantire l’acqua alle future generazioni?

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