Inquinanti eterni, i Pfas ci avvelenano ogni giorno ma per liberarcene occorrono 100 miliardi di euro all’anno

Presente nelle acque potabili e nei cibi, il ‘veleno del secolo’ è collegato a tumori, infertilità e disturbi di vario genere. Un’inchiesta giornalistica svela i costi, le resistenze dell’industria e la mappa dell’inquinamento. In Italia alcune tra le zone più coinvolte
3 Febbraio 2025
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Inquinamento acque

Si chiamano Pfas, si legge ‘inquinanti eterni’. Ne siamo pieni, e liberarci di loro è quasi impossibile, certamente costosissimo. Ma continuare a sguazzarci dentro avrà probabilmente dei costi ancora più alti. Un’inchiesta lunga un anno portata avanti da 46 giornalisti del Forever Lobbying Project, coordinati da Le Monde, ha acceso i riflettori su un problema che sta assumendo contorni sempre più preoccupanti e ha fatto un po’ di conti.

Ma cosa sono i Pfas e perché si è iniziato a parlarne tanto?

Cosa sono i Pfas?

Dietro l’acronimo Pfas si nascondono le sostanze perfluoroalchilate e polifluoroalchilate, che sarebbero sostanze di sintesi, dunque inesistenti in natura, che non si disgregheranno mai. Di fatto sono eterne. Da qui il ‘forever’, ‘per sempre, presente nel nome del progetto giornalistico. Attualmente i Pfas sono una famiglia di oltre 10mila sostanze, un numero in aumento dagli anni ’40 del secolo scorso quando vennero creati. Quasi indistruttibili senza l’intervento umano, sono antiaderenti, idrorepellenti, antimacchia e resistenti a temperature molto elevate e a condizioni fisiche estreme.

Ecco perché si trovano praticamente dappertutto, dall’industria ai prodotti di consumo: creme, cosmetici, padelle antiaderenti, imballaggi alimentari monouso, tessuti o scarpe antimacchia e impermeabili (comprese teli e camici chirurgici), detergenti, lucidanti per pavimenti, vernici, tensioattivi, articoli medicali per impianti/protesi mediche, pesticidi , schiume antincendio e persino corde di chitarra. E questo solo per fare alcuni esempi.

Ma c’è anche un altro posto dove i Pfas si trovano: negli organismi viventi, compreso l’uomo. Una presenza pervasiva e non indolore, dato che queste sostanze sono state collegate a diverse patologie, tra cui tumori, disturbi ormonali e immunitari, problemi alla tiroide, al fegato e ai reni, oltre a danni al sistema riproduttivo e a quello endocrino. I Pfas entrano nel corpo umano attraverso il cibo, l’aria, l’acqua e la pelle. Evitarli è pressoché impossibile.

Prodotti da una manciata di aziende, secondo scienziati, autorità di regolamentazione e società civile il “veleno del secolo” ha creato la peggiore crisi di inquinamento che l’umanità abbia mai dovuto affrontare.

I “Forever Chemicals” infatti sono pervasivi e onnipresenti: sono nel suolo, nella pioggia, nel cibo, nell’acqua, nel sangue. Entrano nell’ambiente attraverso i processi industriali delle fabbriche che li producono o che li utilizzano, attraverso gli scarichi, le discariche, le emissioni delle ciminiere. Anche l’agricoltura contribuisce: in molte parti d’Europa, queste sostanze si diffondono direttamente sui campi attraverso diversi modi: i pesticidi, l’uso come fertilizzanti di fanghi di depurazione non controllati per Pfas, l’irrigazione con acque provenienti da impianti di trattamento non controllate per Pfas, oppure la pioggia.

Insomma, la minaccia è invisibile ma molto concreta.

Quanto costa disinquinare?

Liberarci dai Pfas solo in Europa ha un costo che i giornalisti definiscono “impagabile”, nel senso che il conto è salatissimo. E se gli inquinatori non pagano, chi lo farà, si chiedono – e chiedono – gli autori dell’inchiesta?

I giornalisti intanto hanno fatto i calcoli e hanno ipotizzato due scenari:

‘Legacy (eredità)’, in cui le emissioni cessano immediatamente e vengono bonificati solo i Pfas ‘a catena lunga’, come Pfos e Pfoa, che sono stati limitati o vietati ma che ormai sono già nell’ambiente: il costo ammonta a circa 95 miliardi di euro in 20 anni. Si tratta di un prezzo da pagare anche se l’inquinamento da Pfas si fermasse in questo preciso istante e dunque destinato ad aumentare visto che, chiaramente, le emissioni non si fermeranno ora.

• Si passa perciò al secondo scenario, quello ‘emergente’, il ‘Pfas as usual’, in cui le emissioni rimangono senza restrizioni e gli sforzi di bonifica includono Pfas a catena corta e ultra-corta, come i Tfa, che sono difficili da gestire: il conto sale alla sbalorditiva cifra di 2 trilioni di euro (2000 miliardi di euro) in 20 anni, cioè una bolletta annuale di 100 miliardi di euro.

Questi calcoli, specificano gli autori dell’inchiesta, sono sottostimati, perché non includono molti aspetti sconosciuti o privi di dati disponibili. Inoltre, sottolineano, anche se “le innovazioni hanno il potenziale per abbassare i costi di bonifica, l’opzione più economica è quella di ridurre le emissioni“.

Va in tale direzione la proposta di “restrizione universale” per i Pfas ai sensi del regolamento chimico UE REACH (Registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche) presentata nel febbraio 2023 da cinque Paesi europei (Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia), che inciderebbe su tutti i Pfas seppur con alcune deroghe finché non saranno sviluppate delle alternative.

Ma in risposta, documenta l’inchiesta, centinaia di attori che difendono gli interessi di circa 15 settori coinvolti hanno fatto pressioni sui decisori in tutta Europa per indebolire, e forse bloccare, la proposta.

Non solo, ma va considerato che l’industria chimica, che conosce i pericoli dei Pfas da settant’anni, per aggirare cause e normative nel tempo ha creato nuove generazioni di Pfas, più piccoli e più indistruttibili (quelle a catena corta e ultra-corta prima citate), peggiorando il problema.

La disinformazione

Per indagare e rendere note le attività a difesa del settore, Forever Lobbying Project ha analizzato e sottoposto a uno stress test gli argomenti chiave utilizzati dai lobbisti, usando un metodo definito come ‘giornalismo sottoposto a revisione di esperti’ e coinvolgendo 18 accademici e avvocati internazionali operanti in vari campi, dalla chimica ambientale alla criminologia.

Forever Lobbying Project ha così raccolto oltre 14mila documenti inediti sui Pfas e ha scoperto che “molti di essi sono allarmistici, falsi, fuorvianti o potenzialmente disonesti”.

L’indagine descrive come “i lobbisti del settore ricorrano a tattiche di influenza tipiche del mondo aziendale, utilizzate nel corso dei decenni per difendere tabacco, combustibili fossili e altri prodotti chimici e pesticidi, di fatto conducendo un’opera di disinformazione”.

In sostanza, spiegano gli autori dell’inchiesta, l’industria dei Pfas e i suoi alleati hanno agito per annacquare la proposta dell’Ue di vietare le “sostanze chimiche eterne” e di spostare l’onere dell’inquinamento ambientale sulla società.

Ma le iniziative della società non si fermano: lo scorso 29 gennaio le comunità colpite dalla contaminazione da Pfas in Francia, Germania, Italia, Belgio e Paesi Bassi, in collaborazione con lo European Environmental Bureau e WeMove Europe, hanno inviato una lettera alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen chiedendo un incontro urgente per evidenziare il grave impatto dei Pfas sulla salute pubblica e sull’ambiente e un’azione coraggiosa e rapida per vietarli. In sintesi, la missiva esorta una restrizione universale per queste sostanze, il monitoraggio e la bonifica dei siti contaminati, il risarcimento per le vittime e garanzie che siano gli inquinatori a pagare i costi.

La mappa dell’inquinamento eterno

Il lavoro del Forever Lobbying Project, pubblicato il 14 gennaio 2025, è il proseguimento del Forever Pollution Project, un’indagine collaborativa, transfrontaliera e interdisciplinare condotta da 16 redazioni europee che aveva portato nel 2023 a realizzare una mappa della diffusione degli Pfas in Europa.

La mappa indica quasi 23mila siti in tutta Europa contaminati dai Pfas e ha rivelato altri 21.500 siti di presunta contaminazione dovuti ad attività industriali attuali o passate. Nessun Paese è escluso.

Mappa Forever Pollution Project Sito

La situazione in Italia

Per quanto riguarda il Bel Paese, Greenpeace Italia ha appena presentato la prima mappa della contaminazione da Pfas delle acque potabili, derivata dall’analisi di 260 campioni in 235 comuni di tutte le regioni. Ebbene, il 79% dei campioni è risultato contaminato. Il monitoraggio ha incluso composti come Pfoa, Pfos e Tfa, che è risultato il Pfas più diffuso, per un totale di 58 molecole analizzate. Ogni Regione ha registrato almeno tre campioni positivi, tranne la Valle d’Aosta in cui sono stati prelevati solo due campioni, entrambi positivi.

I livelli più elevati di inquinamento, scrive Greenpeace Italia, “si segnalano in Lombardia (ad esempio in quasi tutti i campioni prelevati a Milano) e in numerosi comuni del Piemonte (Torino, Novara, alcuni comuni dell’alessandrino, ma anche Bussoleno in Valle di Susa), del Veneto (anche in comuni fuori dall’area rossa già nota per essere tra le più contaminate d’Europa, come Arzignano, Vicenza, Padova e Rovigo), dell’Emilia-Romagna (Ferrara, Comacchio, Reggio Emilia), della Liguria (Genova, Rapallo, Imperia), della Toscana (Arezzo, Lucca, Prato), della Sardegna (Olbia, Sassari e Cagliari) e Perugia in Umbria. Le Regioni in cui si riscontrano meno campioni contaminati sono Abruzzo, l’unica regione con meno della metà dei campioni positivi, seguita da Sicilia e Puglia”.

Attualmente, l’Italia non ha una normativa specifica sulla presenza di Pfas nelle acque potabili, e questo nonostante parti del Veneto e del Piemonte rientrino tra i più gravi casi di contaminazione di tutta Europa. I controlli sui Pfas nelle acque potabili di fatto sono assenti o limitati a poche aree geografiche.

Greenpeace Italia Pfas Acque Potabili Report

Mentre il tempo passa, a gennaio 2026 entrerà in vigore la direttiva europea 2020/2184, che stabilisce un limite di 100 ng/L per la “Somma di Pfas”. Ma questo limite secondo Greenpeace e altre organizzazioni è inadeguato, come confermato dall’Agenzia europea per l’ambiente. Diversi Paesi, tra cui Danimarca, Svezia, Paesi Bassi, Germania, Spagna, la regione belga delle Fiandre e Stati Uniti, hanno infatti già adottato limiti più severi, spesso vicini allo “zero tecnico” per sostanze come Pfoa e Pfos.

Nel confronto, i dati della campagna di Greenpeace Italia ‘Acque senza veleni’ rivelano che il 41% dei campioni analizzati supera i parametri danesi e il 22% supera i valori di riferimento negli Stati Uniti. In sostanza, sottolinea l’associazione, in Italia beviamo acqua contaminata da Pfas classificati come cancerogeni, la cui presenza è considerata inaccettabile in molte nazioni.

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