Trump esce (di nuovo) dagli accordi di Parigi, che ne sarà del clima?

Il tycoon ci riprova, ma sulle trivelle dovrà fare i conti con la legge americana
21 Gennaio 2025
5 minuti di lettura
Donald Trump
Il presidente Usa eletto, Donald Trump_fotogramma

Non ha aspettato un istante Donald Trump per ritirare gli Stati Uniti d’America dagli accordi di Parigi sul clima entro il 2026. Subito dopo il suo insediamento, il vecchio/nuovo presidente americano ha firmato decine di decreti presidenziali, tra cui quello che conferma la linea dura contro i trattati internazionali sul clima.

Il tycoon aveva preso questa decisione già nell’estate 2017, durante il suo primo mandato, poi Biden aveva ripristinato gli accordi di Parigi prendendo posto alla Casa Bianca. Oggi la storia cambia di nuovo, ma questa volta potrebbe essere diversa. Un po’ perché Trump non può ricandidarsi alla presidenza (e quindi ha le mani più libere di prima), un po’ perché i contrasti economici e geopolitici sono più polarizzati rispetto a otto anni fa.

Trump e clima, cosa succede

Il vecchio/nuovo presidente americano ha firmato altri ordini esecutivi per allentare le regole sulle trivellazioni e sull’estrazione mineraria, ed eliminare alcuni incentivi economici alla produzione di energia rinnovabile (incluso il settore delle auto elettriche). Quasi per legittimare il cambio di rotta di Washington, Trump ha anche dichiarato un’emergenza energetica nazionale, la prima nella storia degli Stati Uniti.

Le parole riportate nella dichiarazione ufficiale sono quasi un manifesto programmatico del Trump bis: “Questa minaccia attiva al popolo americano derivante dagli alti prezzi dell’energia è esacerbata dalla ridotta capacità della nostra nazione di isolarsi da attori stranieri ostili. La sicurezza energetica è un teatro sempre più cruciale della competizione globale. […]

L’integrità e l’espansione dell’infrastruttura energetica della nostra nazione, da costa a costa, è una priorità immediata e urgente per la protezione della sicurezza nazionale ed economica degli Stati Uniti. È imperativo che il governo federale metta al primo posto il benessere fisico ed economico del popolo americano”.

Per il 47° presidente della storia americana la sicurezza energetica passa necessariamente dai carbon fossili ed è minacciata dalle politiche green.

La legge che blocca Trump sulle trivellazioni

A due settimane dall’insediamento del leader repubblicano, l’ex presidente Joe Biden ha vietato nuove trivellazioni petrolifere offshore lungo 253 milioni di ettari di coste, ovvero quasi tutte quelle americane. Il divieto riguarda l’intera costa atlantica, quella del Mare di Bering in Alaska, quella orientale del Golfo del Messico e, sul fronte del Pacifico, quella di California, Oregon e Washington. Trump ha provato ad allentare le restrizioni sulle trivellazioni ma non può annullare direttamente l’atto di Biden.

La questione delle trivellazioni offshore negli Stati Uniti è regolata dalla Outer Continental Shelf LandsAct (OCSLA), una legge federale emanata nel 1953 che stabilisce i poteri e i limiti del presidente in relazione alla gestione delle acque federali. Questa normativa consente al presidente di proteggere in modo permanente determinate aree da trivellazioni ed esplorazioni energetiche. Tuttavia, una volta che un presidente ha imposto un divieto, il successore non può semplicemente annullarlo.

Questa interpretazione restrittiva dei poteri presidenziali è stata confermata dal tribunale distrettuale dell’Alaska che, nel 2019, ha respinto il tentativo della prima amministrazione Trump di annullare i divieti alle trivellazioni offshore imposti da Barack Obama.

Durante il suo mandato, Obama aveva permanentemente bloccato le trivellazioni in vasti tratti dell’oceano Artico e dell’oceano Atlantico, citando motivazioni ambientali e il rischio per gli ecosistemi marini. Quando Donald Trump, nel 2017, firmò un ordine esecutivo che revocava queste protezioni, il tribunale stabilì che tale azione era illegale perché violava i termini dell’OCSLA. Secondo il giudice, i presidenti possono imporre nuovi divieti, ma non hanno l’autorità di revocare quelli esistenti, in quanto non previsto dalla legge del 1953.

Solo il Congresso potrebbe modificare la legge ma, anche se in entrambe le camere c’è una maggioranza repubblicana, non è detto che il tycoon possa contare su un appoggio unanime per liberalizzare le trivellazioni.

Cosa accadde dopo la prima uscita dagli accordi di Parigi

Nel giugno 2017, Donald Trump annunciò ufficialmente il ritiro degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi sul clima, firmati nel 2015 da 195 Paesi con l’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura globale sotto i 2°C rispetto ai livelli preindustriali. Trump giustificò la sua decisione sostenendo che l’accordo avrebbe penalizzato l’economia americana: “Gli Accordi di Parigi sono ingiusti per gli Stati Uniti e favoriscono altre nazioni a spese nostre”.

Il ritiro divenne ufficiale il 4 novembre 2020, appena un giorno dopo le elezioni presidenziali in cui Trump venne sconfitto da Joe Biden. Durante quegli anni, la decisione fu oggetto di critiche accese sia in patria che all’estero:

  • Gli americani: secondo un sondaggio Gallup del 2019, il 66% degli statunitensi riteneva che il governo federale dovesse fare di più per proteggere l’ambiente. Lo stesso anno, le proteste per il clima, guidate da giovani attivisti, videro la partecipazione di milioni di cittadini in tutti gli Stati Uniti;
  • Aziende e istituzioni locali: grandi aziende come Google, Apple e Amazon criticarono apertamente la decisione, sottolineando che non sarebbe stata positiva nemmeno per l’economia. Nel frattempo, più di 3.800 città, stati e università americane aderirono all’iniziativa “We Are Still In”, impegnandosi volontariamente a rispettare i parametri dell’accordo. Sembrano passati anni luce oggi che le big Usa si schierano al fianco di Trump in campo di sostenibilità sia ambientale che sociale;
  • La comunità internazionale: l’Ue non accolse di buon grado la decisione di Trump. A livello nazionale, l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron condannarono duramente il ritiro, definendolo un passo indietro nella lotta comune contro il cambiamento climatico. La Cina, da parte sua, approfittò di questo strappo per diventare leader nelle energie rinnovabili, aumentando i propri investimenti nel settore. Oggi, le conseguenze sono evidenti a tutti e la battaglia commerciale tra Washington, Bruxelles e Pechino è sempre più accesa.

Cosa cambia con il secondo mandato

Con il ritiro imminente annunciato nel gennaio 2025, gli Stati Uniti rischiano di innescare nuove tensioni internazionali e di perdere ulteriormente credibilità sul piano climatico. Il tutto, mentre la situazione ambientale è decisamente peggiorata rispetto al 2017: il 2024 è stato il quinto anno più caldo mai registrato, con temperature globali medie superiori di circa 1,6°C rispetto all’era preindustriale. Gli effetti devastanti, a partire dai tornado, hanno colpito a più riprese anche gli Stati Uniti e recentemente la città di Los Angeles, devastata dagli incendi.

Intanto, diversi Stati e città americane hanno già annunciato che continueranno a perseguire obiettivi climatici indipendenti, come è successo dopo la prima uscita dagli accordi di Parigi.

Le frasi più famose di Trump sul cambiamento climatico

Di certo, nessuno è sorpreso dalla battaglia di Trump contro le politiche green. Il suo impegno è in linea con i principi del partito Repubblicano. Durante la sua carriera politica, The Donald ha fatto numerose affermazioni contro le politiche ambientali. Ecco alcune delle più controverse:

  1. “Il cambiamento climatico è una bufala inventata dai cinesi” (2012): su Twitter (oggi X dell’amico e consigliere Elon Musk) Trump sostenne che il riscaldamento globale fosse stato “inventato dalla Cina per rendere le industrie americane non competitive”. Pur avendo poi definito il tweet “uno scherzo”, questa affermazione ha consolidato il suo approccio scettico verso la scienza climatica;
  2. “Non voglio che gli uccelli siano uccisi dalle pale eoliche” (2019): durante un comizio, Trump criticò le turbine eoliche, accusandole di uccidere milioni di uccelli ogni anno;
  3. “Non possiamo distruggere il nostro lavoro per combattere un’illusione” (2017): Durante il suo discorso per l’uscita dagli Accordi di Parigi, Trump sottolineò che non avrebbe sacrificato i posti di lavoro americani per combattere un problema che non riguardava esclusivamente gli Stati Uniti;
  4. “Voglio acqua pura, aria pulita e oceani puliti, ma non possiamo rovinarci per ottenerlo” (2019): Questa frase evidenzia il suo approccio pragmatico – spesso criticato come opportunista – secondo cui l’economia deve avere sempre la precedenza sull’ambiente.

Tornando al potere, Donald Trump ha detto che “ora inizia una nuova età dell’oro per l’America”. Difficile dire se sarà davvero così. Di sicuro non sarà un’età green.

Green Economy | Altri articoli