Dalla realtà al web, per le donne c’è un minimo comun denominatore: il forte rischio di subire violenza e discriminazione. Infatti la violenza online contro le donne (CVAW) è solo la nuova frontiera della violenza di genere che si realizza ‘off line’, favorita da nuovi metodi e nuove tecnologie, e da una impunità resa ancora più facile grazie all’anonimato.
I numeri parlano chiaro: secondo i dati dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige) una donna su tre in Europa ha subito violenza fisica, psicologica, emotiva e/o sessuale dall’età di 15 anni. Tradotto in numeri, parliamo di 62 milioni di persone. E su tutte, giornaliste, politiche, attiviste e altre figure pubbliche sono quelle più soggette a pesanti ripercussioni, per il solo fatto di esprimere la propria opinione.
L’allarme è stato lanciato dal Rapporto commissionato da European Women’s Lobby (Ewl) e recentemente pubblicato con l’obiettivo di analizzare il fenomeno, diffondere la consapevolezza tra le donne stesse, e fornire raccomandazioni a politici e parti interessate su come agire.
Violenza on line proseguimento di quella off line
C’è un punto fondamentale sottolineato più volte dal Rapporto, e cioè il continuum di violenza che lega off line e on line: gli spazi digitali rafforzano e intensificano le disuguaglianze strutturali di genere già presenti nella realtà, mentre le norme culturali e sociali che rafforzano il potere maschile banalizzano e giustificano sia la violenza offline che quella online, con le vittime che spesso vengono anche criticate e colpevolizzate. In sostanza, le donne subiscono comunemente violenza e abusi online e offline non in categorie separate, ma come un’esperienza complessiva.
La situazione è peggiorata durante il periodo del covid-19, che ha contribuito a una crescente dipendenza dalle tecnologie digitali: un rapporto del 2020 della World Wide Web Foundation, che copre 180 Paesi, ha rilevato come durante la pandemia il 52% delle giovani donne e delle ragazze abbia subito abusi online, tra cui messaggi minacciosi, molestie sessuali e condivisione di immagini private senza consenso.
L’Economist Intelligence Unit, citata dal Rapporto, ha rilevato che il 38% delle donne ha avuto esperienze personali di violenza online e l’85% delle donne che trascorrono del tempo sul web ha assistito a violenze digitali contro altre donne. Inoltre, quasi tre quarti delle intervistate hanno espresso preoccupazione per l’escalation degli abusi online in minacce offline, mostrando le interconnessioni tra violenza online e offline.
Un’indagine del 2021 su 51 paesi, tra cui molti Paesi europei, ha infine riportato che il 57% delle donne è stato vittima di abusi sessuali basati sull’immagine, un fenomeno che non conosce geografia, interessando in egual misura tutto il Pianeta.
Cos’è la violenza on line?
La violenza online avviene quando le tecnologie online e della comunicazione vengono usate per causare, facilitare o minacciare violenza contro le persone tramite internet, dalle e-mail agli smartphone fino ai social media. Naturalmente anche gli uomini possono subire violenze e abusi online, in particolare insulti o forme più ‘lievi (non per questo accettabili)’ di aggressione, ma, proprio come nel mondo fisico, sono le donne ad avere maggiori probabilità di subire una qualche forma di violenza.
La cyber violence presenta tuttavia alcune caratteristiche specifiche che la distinguono da altre forme di violenza offline e la rendono particolarmente pericolosa:
• l’ampia, facile e rapida diffusione dei contenuti, che rende difficile il loro controllo
• l’anonimato offerto dato da crittografia e protocolli di privacy, che complica parecchio l’identificazione dei colpevoli
• il fatto che il contenuto violento sia difficile da rimuovere e, quindi, ri-traumatizzante per le vittime
• la dimensione di genere
• le cause profonde, fondate sulle disuguaglianze strutturali tra i due sessi
• l’appartenenza a un continuum più ampio di violenza contro le donne (VAW).
Alla base di tutto il fenomeno, sottolinea il Rapporto, ci sono la cultura del sessismo e le disuguaglianze di genere, che si allargano a tutti i contesti. Per fare degli esempi, la povertà delle donne, i divari retributivi e pensionistici tra maschi e femmine, la partecipazione ineguale alla vita politica e a tutti i settori della leadership, l’accesso ineguale ai servizi pubblici – dalla sanità, compresi i diritti sessuali e riproduttivi all’alloggio, dai trasporti ai media per dirne alcuni, senza dimenticare la scarsa indipendenza economica che non consente alle donne di fare scelte reali nella propria vita.
Dall’incitamento all’odio ai deep fake, le principali forme di violenza on line contro le donne
La CVAW può assumere molte forme, ma secondo un’analisi del 2021 quelle più comuni a livello globale includono:
• disinformazione e diffamazione (67%)
• molestie informatiche (66%)
• incitamento all’odio (65%)
• furto d’identità (63%)
• hacking e stalking (63%)
• astroturfing (condivisione contemporanea e coordinata di contenuti dannosi su piattaforme diverse) (58%)
• abuso di video e immagini (57%)
• doxing (condivisione online senza consenso di informazioni personali di un bersaglio – numero di telefono, indirizzo e-mail, indirizzo di casa, contatti professionali) (55%)
• minacce violente (52%)
• immagini indesiderate o contenuti sessualmente espliciti (43%).
Il Rapporto identifica alcune macro-categorie di CVAW:
• cyber stalking: minacce, danni alla reputazione, monitoraggio e raccolta di informazioni private, furto di identità, adescamento sessuale, molestie. A livello globale, il 63% delle donne ha subito stalking informatico, secondo la relazione del 2021 dell’Economist Intelligence Unit.
• molestie informatiche: e-mail o messaggi sessualmente espliciti e indesiderati, avances inappropriate o offensive, minacce di violenza fisica e/o sessuale su social network o chat room, ecc. Le molestie online possono essere perpetrate da un singolo individuo o da un gruppo di individui, di solito reti di autori maschili che prendono di mira le donne e le minoranze. Secondo un’indagine dell’Agenzia per i Diritti Fondamentali (FRA) del 2019, il 13% delle donne nell’Unione europea ne è stata vittima.
• abuso di immagini intime: creazione, manipolazione e diffusione non consensuale, per lo più online, di immagini/video intimi, privati o di natura sessuale. A questo si aggiunge l’estorsione sessuale (‘sextortion’), ovvero la minaccia di pubblicare contenuti sessuali per ricattare qualcuno. Si parla anche di ‘revenge pornography’, ma secondo gli esperti il termine è inadeguato: citando la ‘pornografia’ non si sottolinea la natura non consensuale del fatto, mentre il riferimento a una ‘vendetta’ non solo si concentra solo sul presunto movente dell’autore, escludendo la vittima, ma lascia pensare che quest’ultima abbia fatto qualcosa per scatenare una reazione.
• upskirting, creepshots e voyeurismo digitale: scatto di foto o video non consensuali di donne e ragazze in luoghi pubblici come negozi, bagni, spogliatoi, aule scolastiche o per strada, ma anche nei propri appartamenti. Nello specifico, si tratta dell’acquisizione di immagini sotto il vestito o la gonna di una persona (upskirting), dello scattare foto sessualmente allusive di una donna senza che lei se ne accorga (creepshot) o dell’osservare di nascosto un’altra persona in un luogo privato (voyeurismo digitale).
• incitamento all’odio di genere online: tutte le forme di espressione che condividono, incoraggiano, promuovono o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo o ogni altra forma di odio basata sull’intolleranza, compreso il nazionalismo aggressivo, l’etnocentrismo, la discriminazione e l’ostilità delle minoranze, degli emigranti o delle persone di origine straniera.
Nuove tecnologie, nuove forme di abuso
E lo sviluppo della tecnologia dà vita a nuovi problemi: dai droni e dal tracciamento GPS che favoriscono il cyberstalking, soprattutto nel contesto della violenza domestica, alla tecnologia 3D, alla realtà virtuale e al metaverso che hanno creato nuovi spazi digitali per la misoginia e gli abusi contro le donne. Man mano che Meta si espande, ad esempio, aumenta il numero di account di donne aggredite e molestate sessualmente. Potrebbe sembrare una cosa di poca importanza, ma oltre a essere molto indicativo, occorre anche pensare che le tecnologie immersive e tattili rendono le violenze sessuali perpetrate nel metaverso molto realistiche.
Un problema enorme è poi la diffusione dell’intelligenza artificiale, della realtà virtuale e del gioco online, che stanno peggiorando la situazione, soprattutto perché tutti questi sistemi, realizzati quasi esclusivamente da uomini, presentano gravi pregiudizi di genere e razziali che rafforzano e amplificano gli stereotipi della vita ‘reale’. Inoltre, l’Intelligenza artificiale viene sempre più utilizzata per creare falsificazioni digitali sessuali – i ‘deepfake’ -, grazie al fatto che questi strumenti stanno diventando via via più economici, più sofisticati e accessibili agli utenti. Il Global Risks Report del World Economic Forum 2024 ha lanciato l’allarme: la disinformazione tramite ‘deepfake’ è il rischio globale più grave a breve termine che il mondo dovrà affrontare nei prossimi due anni.
Donne a rischio, soprattutto vip, giornaliste e attiviste
In questo contesto, le donne sono maggiormente a rischio, poiché le tecnologie deepfake sono utilizzate prevalentemente per scambiare i volti delle vittime con quelli delle donne nei video di abusi sessuali. I dati sono inequivocabili: la Cyber Rights Organisation ha rilevato che il 90% delle persone coinvolte nella distribuzione di immagini intime non consensuali, comprese le falsificazioni digitali sessuali, sono donne. Molto preoccupante è il fatto che soprattutto i giovani sembrino particolarmente colpiti dalle falsificazioni digitali sessuali.
Dato ancora più significativo, un rapporto del Servizio Ricerca del Parlamento europeo (EPRS) rivela come il sistema venga usato molto facilmente per screditare le giornaliste, le politiche, le attiviste e altre figure pubbliche, che di fatto sono particolarmente vulnerabili all’incitamento all’odio: in sostanza, le donne che esprimono le proprie opinioni online sono soggette a pesanti ripercussioni.
Secondo uno studio dell’Unesco, il 73% delle giornaliste ha subito violenze online nel corso del proprio lavoro, tra cui minacce di violenza fisica e sessuale, insieme ad attacchi alla sicurezza digitale.
Nel 2023 il Consiglio dei comuni e delle regioni d’Europa (CCRE) ha condotto un’indagine su 2242 politiche di 31 Paesi europei: il 32% delle intervistate ha subito violenza. La stragrande maggioranza dei casi consisteva in violenza online (48%).
Le donne che sono politicamente attive online tendono a essere soggette a insulti, incitamento all’odio, rischio reputazionale, minacce fisiche e falsificazioni sessuali. Le donne attiviste sono prese di mira con forme di abuso volte a metterle a tacere, con tassi più elevati e violenze online più gravi rispetto alle altre donne.
La manosphere
Merita – per così dire – un capitolo a parte il fenomeno della ‘manosphere’, ovvero la rete di comunità maschili online che difendono i diritti e gli interessi degli uomini, promuovendo allo stesso tempo ideologie misogine e convinzioni antifemministe e sessiste. Incolpano le donne e le femministe di tutti i problemi della società e perpetuano stereotipi dannosi. Molte di queste comunità incoraggiano il risentimento, o addirittura l’odio e la violenza nel mondo reale, nei confronti delle donne e delle ragazze.
I segmenti chiave includono:
• attivisti per i diritti degli uomini (MRA), che spesso si oppongono ai movimenti femministi
• Pick Up Artists (PUA) che enfatizzano la mascolinità maschile e promuovono un gioco di seduzione basato sullo squilibrio di potere
• incel (celibi involontari), che esprimono risentimento nei confronti delle donne che incolpano di rifiutarli sessualmente
• Men Going Their Own Way (MGTOW), che sostengono il completo disimpegno dalle donne.
Questi gruppi hanno sfruttato i social media e i forum online per propagare le loro opinioni, influenzando il discorso pubblico e i dibattiti politici.
Chi sono gli autori della CVAW?
La CVAW può essere perpetrata sia da uomini che da donne. Tuttavia, nella maggior parte dei casi sono le donne ad essere prese di mira dagli uomini, che siano partner, ex partner, familiari, amici o persone anonime. Insomma, può essere chiunque. Uno studio di Plan International in 31 Paesi ha rilevato che gli estranei sono gli autori più comuni di CVAW (36%), seguiti dagli utenti anonimi dei social media (32%) e dai conoscenti sui social media (29%). Inoltre, il 16% degli abusi online contro donne e ragazze è perpetrato da gruppi di estranei.
Sebbene le motivazioni varino, un tema dominante è quello del potere e del controllo. Inoltre, si sta diffondendo una ‘cultura del collezionismo’ in cui gli uomini commerciano e condividono immagini intime senza consenso attraverso forum internet e gruppi privati.
Per quanto riguarda poi la violenza da parte del partner (IPV), la tecnologia è spesso utilizzata per intimidire, costringere e mantenere il controllo sulle vittime in modo da proseguire una relazione o come punizione o vendetta per averli lasciate, tra le altre ragioni.
L’impatto sulle donne
Le donne che subiscono forme di violenza a breve e lungo termine pagano un prezzo molto caro in termini di salute psicologica, sviluppando ansia, grave disagio mentale, depressione, disturbo da stress post-traumatico e, in casi estremi, autolesionismo, tentativi di suicidio o suicidio stesso, paura e insicurezza.
Questo senza contare i danni alla reputazione, le interruzioni alle proprie situazioni di vita, l’invasione della privacy, la messa a tacere o il ritiro dall’ambiente online, i danni alle relazioni personali e la riduzione dell’impegno nella vita democratica.
A livello sociale le reazioni più ricorrenti alla CVAW sono il ritiro dalla partecipazione online, l’isolamento e l’autocensura. La conseguenza è che spesso le donne si ritirano dalla sfera digitale, di fatto perdendo opportunità per costruire la propria istruzione, la propria carriera professionale e le proprie reti di supporto.
Gli effetti sulle donne in politica e nel giornalismo sono particolarmente dannosi. Le prime tendono a ridurre la propria attività, a non candidarsi alle elezioni e persino a lasciare i propri incarichi.
Quanto alle giornaliste, uno studio del 2021 (The chilling: Global trends in online violence against women journalists. UNESCO Research Discussion Paper) ha rilevato che il 30% di loro si è autocensurato sui social media a causa della violenza, mentre secondo un sondaggio sempre del 2021 (World Wide Web Foundation – Tech Policy Design Lab: Online Gender-Based Violence and Abuse: Outcomes and Recommendations) il 37% ha evitato determinate storie a causa di precedenti esperienze con minacce, molestie o attacchi.
Il risultato è che la CVAW limita la partecipazione pubblica e la leadership delle donne: le voci femminili sono messe a tacere, screditate e censurate.