Diritto alla disconnessione, Crisanti (L’Associata): “Ci hanno fatto credere che lavorare fino a notte sia normale”

Parla il fondatore dell’associazione che ha portato la proposta di legge alla Camera
17 Ottobre 2024
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Giovanni Crisanti fondatore l'associata
Il fondatore de L'Associata, Giovanni Crisanti_social

“Lavoro, poi stacco”. L’Associata, l’associazione promotrice dell’iniziativa, ha scelto un nome eloquente per la proposta di legge che mira ad estendere il diritto alla disconnessione in Italia. Abbiamo chiesto a Giovanni Crisanti, fondatore dell’associazione nata sei anni fa a Roma, quale sia la situazione in Italia e cosa aspettarci per il prossimo futuro.

Crisanti, classe ‘99 e Policy Advisor per gli Affari Esteri al Parlamento europeo, spiega: “Oggi, quando un giovane viene assunto, spesso gli viene fatto credere che lavorare fino a tarda sera sia la norma, anche se il contratto prevede un orario ben definito”.

Giova ricordare che per diritto alla disconnessione si intende il diritto del lavoratore di non essere reperibile dopo l’orario di lavoro. Questo significa non solo che l’attività richiesta verrà svolta alla ripresa del turno, ma anche che il lavoratore deve essere libero di non rispondere alle comunicazioni di lavoro durante il periodo di riposo senza che subisca ripercussioni sul rapporto di lavoro.

La proposta di legge “Lavoro, poi stacco” è rivolta a lavoratori autonomi e a quelli il cui contratto nazionale non prevede il diritto alla disconnessione.

Diritto alla disconnessione e i danni lasciati dal lockdown

Il lockdown ha influito sulla reperibilità dei giovani che, spesso con contratti a tempo determinato, temono di perdere il lavoro se non rispondono alle richieste fuori orario?

“Il lockdown ha inciso su due aspetti principali. Il primo, su cui non sono un esperto, è l’impatto sulla salute mentale, provocando instabilità emotiva e precarietà, sia tra i giovani che tra gli adulti. È stato un periodo difficile, sia per la vita privata che professionale, con l’incertezza legata a casse integrazioni o licenziamenti.

Il secondo aspetto, su cui posso parlare con più contezza, riguarda il lavoro da remoto. Il lockdown ha accelerato la digitalizzazione, rendendo più semplice lavorare in luoghi diversi e con una maggiore flessibilità nei tempi. Questo ha reso possibile, ad esempio, fare una pausa per andare in palestra o gestire i figli e situazioni familiari durante l’orario lavorativo”, conquiste fondamentali per un Paese che deve fare a spallate con una profonda crisi demografica.

“Tuttavia – spiega Crisanti – la facilità con cui si può comunicare tramite messaggi, email, telefonate ha reso sempre più difficile la disconnessione dal lavoro. Il problema è che siamo sempre disponibili e non abbiamo ancora maturato l’idea che, anche se mandiamo una mail o riceviamo una chiamata fuori orario, stiamo parlando di lavoro.

È proprio questo l’obiettivo della nostra proposta di legge: far comprendere che la disconnessione è un diritto e che, se si lavora fuori dagli orari stabiliti, quel tempo va considerato come lavoro. Dobbiamo formare una nuova cultura in cui lavorare di più non è sinonimo di essere più bravi”, aggiunge Crisanti facendo eco ai dati sulla salute mentale degli italiani al lavoro. Il Mind Health Report di Axa e Ipsos registra che, in Italia, il 76% dei lavoratori sta manifestando almeno un disturbo collegabile al lavoro, tra cui stanchezza, perdita di energie e di interesse, disturbi del sonno, stress e ansia. Questo disagio riguarda trasversalmente tutta la popolazione aziendale, ma colpisce più i giovani che gli anziani anche a causa di salari troppo bassi e delle scarse prospettive di carriera e di pensione.

Cosa prevede nello specifico la vostra proposta di legge?

“Il cuore della proposta è l’estensione del diritto di disconnessione a tutti i lavoratori, senza che ci siano ripercussioni sul rapporto di lavoro. L’articolo sei della nostra proposta prevede l’obbligo per i datori di lavoro di informare i dipendenti sul diritto alla disconnessione e sulle modalità per esercitarlo”.

Il diritto alla disconnessione presentato nella proposta di legge, di cui il deputato Arturo Scotto è primo firmatario, presenta delle eccezioni. A patto che restino tali: “Noi – spiega ancora Crisanti – proponiamo di introdurre il divieto per i datori di lavoro di contattare i dipendenti al di fuori degli orari lavorativi, a meno che non ci sia una motivazione valida. In quel caso, il tempo dedicato al lavoro deve essere riconosciuto e retribuito o quanto meno recuperato.

La nostra intenzione non è quella di vietare ogni forma di lavoro fuori orario, ma di limitare e razionalizzare questa pratica”.

Il percorso verso la proposta di legge

Quali passaggi ha dovuto affrontare la vostra associazione per portare questa proposta all’attenzione della politica?

L’Associata è nata sei anni fa per aggregare studenti e professionisti per discutere di politica e questioni legate all’amministrazione locale, nazionale, internazionale. Abbiamo costruito nel tempo una rete di contatti tra associazioni, giovani, studenti, professionisti, e rappresentanti politici, che ci ha permesso di essere più efficaci e rapidi. Però è stato un lavoro lungo e articolato.

Da quando ci siamo resi conto che esisteva questo problema, abbiamo organizzato oltre trenta incontri con circoli di partito, associazioni, sindacati e imprese per ascoltare i punti di vista di tutti gli attori coinvolti. Questi incontri sono stati cruciali. Ad esempio, l’idea di prevedere l’obbligatorietà per il datore di lavoro di formare i neoassunti non solo sui rischi legati alla sicurezza sul lavoro, ma anche sull’uso della tecnologia e il rapporto con gli strumenti digitali, è nata grazie a una tirocinante che ha condiviso la sua esperienza con noi”, spiega Giovanni Crisanti augurandosi che la proposta di legge trovi un’ampia condivisione tra le forze politiche per diventare realtà.

Un lavoratore stressato produce meno

Spesso l’aspetto economico è visto in contrasto con il benessere dei lavoratori. Eppure, l’Oms ha recentemente spiegato che le condizioni di salute mentale non trattate possono comportare una perdita di produttività pari a circa 1 trilione di dollari a livello globale. Il diritto alla disconnessione farebbe bene anche alle aziende?

 C’è un sondaggio del Work Relationship Index che mostra come un lavoratore su due non conduca uno stile di vita sano a causa del lavoro. Eurostat ci dice che tre italiani su cinque lavorano più di 40 ore a settimana, superando l’orario settimanale previsto nel contratto. Questo influisce sul benessere psicofisico e sulla capacità di bilanciare vita privata e lavoro.

Il problema principale – afferma il fondatore de L’Associata – è che gli strumenti digitali, come le email e i messaggi, hanno reso il tempo dedicato al lavoro molto fluido. Si lavora continuamente senza accorgersene, e il tempo non è ben gestito, spesso a discapito della vita privata.

La situazione lavorativa in Italia e altre proposte per il futuro

Secondo il rapporto Gallup 2024, solo l’8% dei lavoratori italiani si sente coinvolto e realizzato, praticamente un terzo della media globale (23%). Alla luce di questi dati e di quelli sulla salute mentale, state lavorando a nuove proposte in ambito lavorativo?

“Sì, stiamo valutando diverse proposte. Abbiamo lavorato su temi come il caporalato e la settimana breve, ma la battaglia principale è quella sui salari. L’Italia è il Paese europeo in cui i salari sono cresciuti di meno negli ultimi anni, ed è qui che bisogna intervenire. Il lavoro determina la vita di una persona, ed è necessario che il lavoratore sia pagato adeguatamente”, dice Crisanti che ricorda: “L’aumento dei salari è cruciale, ma spesso in Italia viene vista come una pretesa eccessiva. Tuttavia, se guardiamo alla distribuzione della ricchezza a livello globale, non sarebbe così difficile migliorare le condizioni lavorative. È una questione di equità: dobbiamo garantire ai lavoratori il giusto compenso e metterli nelle condizioni di condurre una vita sana ed equilibrata”.

Mentre alcuni temono di perdere il lavoro per l’Intelligenza Artificiale, altri temono di perdere il lavoro se non aumentano costantemente la propria produttività. I rischi per la salute mentale, però, sono enormi. Come dimostra uno studio guidato da Wen-Jui Han, professoressa della NYU Silver School of Social Work e pubblicato su PLOS One, lavorare troppo da giovani aumenta esponenzialmente il rischio di cadere in depressione e avere una cattiva salute già nella mezza età, intorno ai 50 anni.

Lavorare di più non deve essere l’unico obiettivo. I lavoratori – conclude Crisanti – devono essere rispettati, dotati degli strumenti necessari per lavorare bene e devono essere pagati il giusto per il loro impegno. Questo è ciò che vogliamo portare avanti con la nostra proposta e con le battaglie future”.

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